Gennaio 2001. L’Odissea nello Spazio preconizzata da Kubrick assieme ad Arthur C. Clarke nel lontano 1968 non si è verificata. Ma un altro impavido esploratore quell’anno aprì uno squarcio su una dimensione largamente inesplorata e ignorata dai più, sebbene non si parlasse di spazi siderali, bensì pubblicitari. L’esploratore in questione era Corrado Guzzanti (sulla cui incontestabile genialità non ci soffermeremo in questa sede) e la dimensione inesplorata era il sottobosco catodico dei teleimbonitori, mercanti che si muovevano incontrastati nei bazar televisivi di quella frontiera selvaggia che prima dell’avvento del digitale terrestre si trovavano sul telecomando dopo il numero 9: una distesa di canali privati, spesso ultra regionali, dove vigeva la legge del più forte, ovvero di quello che vendeva di più. La trasmissione era L’Ottavo Nano e Guzzanti, nei panni di un televenditore di quadri, tentava di rifilare delle croste assurde, opere uniche di pittori mai sentiti (Amedeo Stacollanana, Tonino Mutandari, il Fragolari…) ma considerati capofila di movimenti artistici fondamentali anche se sconosciuti (il Nascondismo e il Sorpresismo su tutti), a una scettica Serena Dandini, incitandola a “rendere il proprio salotto un grande protagonista del ‘900”.
Il risultato ovviamente fu subito culto anche se quando lo vidi mi chiesi quanti degli spettatori di Rai Due conoscessero l’originale a cui Corrado si era ispirato: io, un giovane teledipendente con problemi di insonnia, ovviamente lo conoscevo bene. Francesco Boni era il più noto volto di Telemarket, l’emittente creata dal controverso imprenditore Giorgio Corbelli (che allo zenith della propria carriera sarà anche presidente del Napoli Calcio) sulle ceneri di Elefante Tv (di cui Telemarket manterrà il logo, un elefantino verde) con lo scopo di “interessare all'arte contemporanea un pubblico vasto ed eterogeneo in termini di fascia d'età, estrazione sociale e livello culturale”. Per circa 23 anni, dal 1990 fino al 2013, anno in cui chiude per fallimento dopo essere stata al centro di varie vicende giudiziarie (Corbelli è stato condannato nel 2019 per associazione a delinquere finalizzata alla falsificazione delle opere pittoriche e grafiche di autori contemporanei), Telemarket è stato il guilty pleasure irrinunciabile per migliaia di nottambuli. Le sue televendite, con le scenografie scarne, una parete grigia su cui campeggiano quadri, sculture, tappeti, mobili, sono diversissime dalla televisione mainstream a cui siamo abituati: senza la scansione e il ritmo dei varietà con gnocche che fanno i balletti, comici, rubriche, scenografie colorate e luminose, il tempo sembrava fluttuare a seconda dei capricci del suo demiurgo, il padrone incontrastato di quello spazio: il televenditore.
Un anno fa, dopo mezzanotte, ha chiamato uno che si è presentato dicendo: “Buonasera, sono Silvio Berlusconi e voglio quel quadro da 60.000 Euro”. Era davvero lui
Niente musica, niente montaggio: quattro ore di diretta nelle quali c’era solo lui, l’opera in vendita e il pubblico che telefonava (o no). E non c’è dubbio che Telemarket, nella sua età dell’oro, potesse vantare un cast di supervenditori simile a quello di Avengers: Endgame. C’era il già citato Boni, il rispettato divulgatore; Paolo Frattini, l’araldo dell’iperdecorativismo barocco; Bijan Parvizyar, l’esotico esperto di tappeti nostalgico dello Scià di Persia detto “il Principe”; i virtuosi del linguaggio Marco Vinetti e Gianluca Gaudio… personaggi pittoreschi ciascuno con un lessico, un carattere, una presenza diversa, accomunati solo dagli anonimi completi grigi e dalle camice chiare, divisa d’ordinanza degli anchormen del canale. Su tutti però svettava lui, per magnetismo, imprevedibilità, carisma. Alessandro Orlando. Entrato nell’organico dell’Elefantino Verde ne diviene ben presto il venditore di punta grazie all’indubbia presenza e alla voce di velluto: visivamente è il fratello versiliano di Javier Bardem (nella sua indimenticabile incarnazione del villain sessualmente ambiguo Silva nel migliore Bond Movie degli ultimi anni, Skyfall) e quando parla sfoggia profondità timbriche degne di Luca Ward. Orlando ha uno stile unico rispetto ai colleghi: ingaggia il pubblico avvicinandosi alla telecamera ben oltre il consentito, ha un flow elegante e beffardo che sfocia in imprevedibili cazziatoni nei confronti degli spettatori troppo miopi di fronte all’affare incredibile che propone, impegna le 4 ore a disposizione snocciolando racconti sulla genesi dell’opera come un cantore omerico, poco importa se vere o completamente inventate. Il tutto alternando sapientemente silenzi enigmatici, soliloqui meditabondi e sindromi di Stendhal che trascendono in scatti di ira e/o estasi mistica.
Se fossi il CEO di Netflix non ci penserei due volte a fare “The Elephant Men” (citando David Lynch) una serie sulle imprese di questi paladini della tv commerciale sommersa, la risposta italiana a Mad Men, con massicce iniezioni di Boris. Come Don Draper, Orlando sarebbe indubbiamente il personaggio principale. Mentre ogni venditore di Telemarket era specializzato in una precisa area merceologica (arte antica, arte moderna, argenteria, antiquariato, gioielleria, mobili), Orlando era l’unico in grado di spostarsi con disinvoltura da un divano in pelle a un tappeto persiano, passando per le inevitabili serigrafie numerate di Mario Schifano. E li vendeva. Sempre in un equilibrio impossibile tra convinzione e sberleffo. Poi nel 2013 Telemarket chiude: è la fine di un’era. Di Orlando e la sua gang si perdono le tracce fino, apparentemente, al 2020. Durante il lockdown, inaspettatamente ma non troppo, nella barra dei consigliati vedo un video dal titolo inequivocabile: Orlando Show - “La leggenda del tappeto imperiale fatto dal figlio del sole per il sultano di Persia”.
È la sintesi (11 minuti) montata da un angelo misterioso di nome Sir Daniel di un celebre video che racchiude tutta la grandiosa cifra stilistica di Orlando, dall’introduzione sorniona stile Roger Moore fino al vertiginoso crescendo finale (fatevi un regalo e guardatelo, qui sopra). Il video ha 572.203 visualizzazioni: incredibile per una televendita di tappeti vecchia di 10 anni. Da quel momento inizio a guardare tutti i video caricati, l’antico amore torna ad ardere. Ma non sono il solo: anche tanti giovanissimi restano ammaliati dalla capacità comunicativa di Orlando, come Dario Moccia, youtuber e fumettista classe 1990, tanto da intervistarlo sul suo canale Twitch. Inizio a seguire le dirette della pagina Facebook Orlando Arte, la sua nuova avventura imprenditoriale iniziata 4 anni fa che conta un discreto numero di gallerie e decine di migliaia di seguaci. Orlando è un po’ invecchiato (non molto per la verità) e il tempo delle mattate di Telemarket è ormai archiviato ma il suo magnetismo davanti alla telecamera resta invariato. Intervistarlo ormai per me era un dovere morale. Lo raggiungo al telefono mentre è in macchina e si dirige verso una delle sue interminabili dirette notturne.

Facevo una media di 120, 140 mila euro a trasmissione. E di trasmissioni ne facevo anche undici a settimana
A Telemarket era la prima volta che sentivo parlare di Schifano, Perilli, Cascella. Ben presto però il mio interesse passò dalle opere a chi le presentava: te. Ero come ipnotizzato, volevo sempre vedere dove saresti andato a parare. E stava tutto succedendo in diretta. Oggi, molti anni dopo, sto notando un rinnovato interesse per le tue performance a Telemarket: i numeri delle views dei tuoi video e delle persone che guardano le dirette parlano da soli. Come ti spieghi tutto questo?
Ti dico la verità: non amo molto essere riconosciuto, non sono timido, direi più riservato. I miei collaboratori mi hanno avvertito (io non ho tempo di guardare) che ultimamente ci sono un sacco di video virali delle mie cose e migliaia di fan scatenatissimi che mandano tonnellate di messaggi ogni giorno alla mia pagina Facebook, e la cosa mi fa molto piacere, anche perché la maggior parte sono molto affettuosi. Alcuni commenti sulla pagina sono un po’ volgari e quindi il mio staff li deve bannare, perché su quella stessa pagina ci vengono i miei clienti e collezionisti per fare offerte. Alcuni “fan” ogni tanto li incontro: in un ristorante, in un’area di servizio, al supermercato. E rimango basito dal fatto che vanno nel panico quando mi vedono: “Ma è veramente lui!!!”, “Ma allora anche lei fa la spesa”. Il tuo socio Ray Banhoff mi ha fatto vedere questi video fatti da tale Mimmo Modem e sono divertentissimi. E comunque sai, c’è sempre stato tanto amore e adorazione per me. Mi hanno sempre detto che quando parlavo in televisione sembrava che parlassi a ognuno di loro, a ogni spettatore. Per me è sempre stata una cosa molto naturale, non ho mai fatto teatro né niente.
Eppure l’uso di certe pause, la modulazione del tono, certi sguardi in macchina sembrerebbero suggerire il contrario. Tu volevi fare questo lavoro?
Volevo fare tante cose, ma dopo il mio pallido liceo scientifico venni strappato ai miei progetti da mio padre: lui era un noto gallerista. Avevamo cinque gallerie in Italia e lui non riusciva a seguirle tutte. Aveva bisogno di suo figlio. Una cosa che sicuramente mi ha aiutato molto nella mia successiva carriera televisiva è stata fare le aste dal vivo in giro per l’italia: immaginati una sala con davanti 300, 500 appassionati d’arte molto preparati, che aspettano che tu parli. La telecamera dopo è stata una passeggiata. Io mi sentivo un leone davanti a una macchina.
E dopo iniziasti con la tv.
In realtà avevo già fatto un pò di televisione con mio padre, su TeleRiviera, in trasmissioni che si vedevano solo in Versilia o in un paio di altre regioni. Qualcuno che lavorava a Telemarket, credo, mi vide lì e mi chiamarono quindi per un provino a Brescia, era il 7 Gennaio del 1997, non me lo dimenticherò mai. Dissi a mio padre di voler andare al provino, mi sarebbe piaciuto fare un’esperienza ma lui era contrario: “Non fare quelle cose!”. Ci andai lo stesso. Il provino durò 5 minuti: assunto. Il giorno dopo ero già in onda in tutta Italia. Fu un salto importante per me. Diventai subito quello che vendeva tutto quello che gli altri non riuscivano a vendere. Il magazzino era cucito su tutti i miei colleghi ma c’erano ovviamente montagne di roba invenduta. Poi a Telemarket arrivò Orlando che vendeva tutto e per loro divenni un dio.
Scusa la domanda triviale: pagavano bene?
Cifre astronomiche, perché gli rendevo molto. Infatti sono stato con loro 20 anni.
Mi sembra quasi di vederlo, il trailer del film “The Wolf of Telemarket”. A questo punto ti chiedo obbligatoriamente quali siano le caratteristiche che debba avere un grande venditore.
Ovviamente non ho mai studiato nulla in materia, ma ho accumulato un po’ di esperienza per poterti rispondere che innanzitutto devi piacere a più gente possibile. Poi, una delle mie più grandi fonti di ispirazioni è stata la pubblicità televisiva. I pubblicitari sono dei geni assoluti. In pochi secondi devono lasciare il segno, con un’immagine, con poche parole, su milioni di persone. Tutti gli spot che passavano su Rai e Mediaset li ho visti milioni di volte. La gente pensava fossi pazzo ma io ho imparato molto da loro.
Ma come facevi a essere il più bravo?
Perché io ho sempre venduto me stesso nelle mie trasmissioni, non quello che presentavo. Anche perché vendo cose inutili, diciamocelo. Per me l’arte è chiaramente fondamentale e non riesco a immaginarmi una vita senza arte ma è chiaro che si possa vivere senza.
Eccolo, lo squarcio improvviso di onestà! Come quando nel video della leggenda del Tappeto Keyshon dici: “il tappeto che state per vedere non è uno dei miliardi di pallide imitazioni dei Keyshon che ammetto che anche io ho venduto e presentato in questi anni”! Riuscivi a venderle davvero quelle cose? Perché tanti articoli avevano prezzi esorbitanti.
È normale il motivo: c’erano 250 dipendenti da pagare. Per forza avevano prezzi alti.
Ma guardando Telemarket uno si chiedeva: come si fa a vendere un quadro da 20.000 euro alle 10 di sera in tv? Come si fa a conciliare qualcosa di così alto come l’arte contemporanea con qualcosa di così basso e pop come la tv nazionale?
Mi stai facendo la stessa domanda che mi faceva sempre mio padre. Io per primo non potevo immaginare che effetti avesse quello che facevo ogni sera. Tieni conto che facevo una media di 120, 140 mila euro a trasmissione di prenotato - e di trasmissioni ne facevo anche undici a settimana, mi hanno spolpato. Questo per darti un’idea del fatturato che gli generavo. Dopo mi abituai, ma all’inizio io arrivavo sul set e trovavo duecento cose da vendere e a me non me ne piaceva nemmeno una. Ma Orlando era il più pagato di tutti perché vendeva tutto. E quando mi capitava di vendere davvero tutto, te lo dico sinceramente, provavo una sorta di godimento e una forza che mi spingeva a dare il massimo ogni sera (in media ogni trasmissione durava 4 ore ed era sempre in diretta, nda). Iniziarono ad arrivarmi tantissime offerte ma avevo un contratto blindassimo con Telemarket, con delle penali mostruose.

Non pensare che io fossi un improvvisatore. In diretta ero un mastino. Tenevo molto all’inquadratura e mi arrabbiamo moltissimo se non era come la volevo io
In quel periodo ricevevi tante offerte di lavoro?
Anche adesso, ma fino a 5 anni fa ero vincolato a Telemarket. È finita solo nel 2013. Sarei dovuto andarmene via molto prima ma non potevo. Tutti dicevano: “ma tu puoi fare molto di più, sei il numero uno, perché non ti metti per conto tuo?”. Alla fine ce l’ho fatta, ho dovuto, perché non ce la facevo più coi ritmi che facevo: non hai vita sociale, anche perché la mattina dormi. Condividere un affetto non è stato facile. Per la verità i ritmi sono gli stessi di oggi: finisco di lavorare sempre all’una di notte. Però lo faccio in casa mia, in un’azienda mia che con 25 dipendenti che lavorano da dio. Ho 56 anni e mi sento ancora un leone ma non ti nascondo che facciamo tanta fatica. Ma è la fatica più bella del mondo. Sono molto felice. Torno un’attimo al discorso di vendere me stesso. Sai che quando quelli del centralino richiamavano i clienti che avevano prenotato le opere che vendevo, quasi nessuno si ricordava che opere fossero? Li avevo talmente affascinati che loro avevano scelto me, più che l’opera, che pure magari costava cifre importanti.
Ma il fatto che tu fossi il più bravo, il più pagato, il più coccolato, non ti rendeva anche il più invidiato?
Tutti dicevano “che bello lavoriamo con Orlando stasera”. Vedi io sono una persona molto solare, positiva. Poi però quando io vendevo tutto e i miei colleghi magari molto poco, loro si incazzavano. Iniziavano a dire: “Orlando dice troppe cagate”, “Orlando fa il pazzo”, a Telemarket era una litania, ogni giorno, “Orlando ha detto, Orlando ha fatto”. Per fortuna il direttore generale di rete, un mastino, ma anche una persona meravigliosa, grande esperto di televisione, mi difendeva sempre, dicendo “lui è il numero uno, non si tocca”.
E il patron Giorgio Corbelli?
Quello non lo voglio nemmeno nominare. Dirò solo che la proprietà non ha mai davvero creduto in me, preferendo investire su altri ai quali costruiva il magazzino intorno. Cosa che non ha mai fatto con me. Perché, vedi, loro erano tutti amichetti suoi, venivano dalla gavetta dei villaggi turistici. Io no, io venivo da un’altra esperienza, quella delle aste dal vivo.
Quello che comunque mi affascinava di Telemarket è che ogni venditore era un personaggio, un character, con una sua gestualità, i suoi temi ricorrenti, il suo lessico: Boni, te, Frattini, Vinetti, che era un compagno di liceo di un mio amico di Brescia…
Assolutamente. Boni era davvero ipnotico. Vinetti in particolare è un grande amico, una persona meravigliosa a cui voglio un bene dell’anima. Lui era il direttore dello show-room di Roncadelle, poi decisero di mandarlo in onda. Ora si è messo in società con alcuni amici miei e adesso ha ripreso a fare televisione, e la fa con grande professionalità.
Com’è possibile che un format come quello di Telemarket - dirette da 4 ore dalle 22 fino a tarda notte, per esempio, in cui si passavano in rassegna decine di quadri, sculture, tappeti, posate, con numero del lotto, prezzo e telefono in sovrimpressione - si sia cosi cementato nell’immaginario collettivo?
Te lo spiego subito. La televisione chi è che colpisce? O persone pigre o persone che hanno tanto da fare: grandi imprenditori o lavoratori che non hanno tempo di giorno di andare a cercare pezzi importanti in gallerie o in show-room e che quindi le trovano la sera, in tv, a un prezzo giusto e presentate elegantemente. Prima non potevo perché facevo parte di una grande struttura ed ero controllatissimo, ma ora che sono in proprio cerco di conoscere personalmente i miei clienti. Sono persone che sono cresciute con me a Telemarket, e i loro figli. Gente che lavora tutto il giorno e che la sera, dopo una bella cena, davanti a un bicchiere di vino, guarda Orlando, vede un bel pezzo e lo compra, spendendo anche molti soldi. Perché comunque non avrebbe il tempo di spenderli altrove.

Quando quelli del centralino richiamavano i clienti che avevano prenotato le opere, quasi nessuno si ricordava che opere fossero
Come si svolge la tua giornata lavorativa?
Da Telemarket a Orlando Arte non è cambiata molto. Mi sveglio alle 12 e la prima cosa che faccio è guardare i messaggi che arrivano dall’ufficio relazioni esterne della galleria, alle 13 mangio una cosa veloce e leggera e poi vado in galleria, che apre alle 14. Assieme ai miei assistenti decidiamo cosa fare la sera, che opere presentare, come allestire il set: a me piace creare continuità ma anche varietà, non come a Telemarket, dove si vendevano sempre le stesse cose. Decidiamo le eventuali promozioni e i pezzi da presentare, dopodiché, mentre i miei ragazzi allestiscono il set io mi dedico agli appuntamenti e alle mail in ufficio: con clienti, fornitori, artisti ma anche con l’amministrazione, l’ufficio autentiche e i ragazzi che partono con i furgoni per consegnare le opere vendute in tutta Italia…
“Isole comprese” come diceva Guido Angeli, storico volto di Aiazzone che aveva consegnato all’immortalità la sua battuta di chiusura “provare per credere”?
Ahaha certo! Tu sai che Guido Angeli aveva lavorato per mio padre? Faceva anche lui le aste! Comunque, dicevamo… alle 19 torno a casa, mi butto sul divano, alle 20 sono di nuovo in galleria e alle 21 si va in onda, fino all’una. Di solito poi usciamo, io, i ragazzi dello studio e del centralino, mangiamo una cosa e andiamo a casa. E il mattino dopo si ricomicia.
Non hai paura che la situazione attuale di pandemia, occupandoti tu di oggetti d’arte, cose ascrivibili al “superfluo” come quadri e tappeti, ci possa essere una flessione del tuo mercato?
È assolutamente l’opposto. Durante il lockdown noi come televisione potevamo lavorare e abbiamo fatto il record di Orlando Arte. E tutt’ora stiamo lavorando tantissimo. Me l’hanno detto i miei clienti il perché: “Alessandro, tanto dobbiamo tutti morire, almeno godiamoci la nostra casa riempiendola di cose belle come quadri, tappeti, etc”. Sembra un pò tragico ma è così.
Qual’è la categoria merceologica che ami di più vendere e quale invece detesti?
Quella che amo di più è anche quella che a Telemarket ho fatto di meno perché se ne occupava altra gente, l’arte moderna e contemporanea. Di quella si occupava mio padre e quella ho studiato. Quella che invece odiavo era l’argenteria, le posate, però ne vendevo talmente tante…
Le posate, i comodini rococò e le porcellane coi bassorilievi non erano il regno di Paolo Frattini?
Grandissimo Frattini! Persona stupenda, di una simpatia contagiosa. Sai che spesso a Telemarket facevano sondaggi interni per valutare il grado di popolarità dei conduttori e lui era sempre al primo posto? Invece quelli che restavano in fondo alla classifica erano quelli che vendevano di più: Boni, per esempio, e io. Il pubblico però mi amava. La gente diceva: “lo so che Orlando mi frega, però mi piace farmi fregare da Orlando”.
Il rapporto col tuo pubblico negli ultimi anni, quelli di Orlando Arte, si è fatto più stretto. Ho anche visto qualche giorno fa, in una dette tue dirette su Facebook, che annunciavi una nuova formula, ovvero fare trasmissioni direttamente nelle case della gente che vuole vendere i suoi quadri, le sue statue, i suoi tappeti. In pratica sei sempre entrato nelle case degli italiani ma stavolta lo fai letteralmente?
Ahhh si! Ci siamo inventati questa cosa che si chiama “Home Biz”, perché una delle mie trasmissioni di punta si chiama “Biz”, come Business. “Home Biz” succede quando un cliente ci chiama, e ce ne sono tanti, e ci dice “guarda Orlando io ho un caveau pieno di roba, quadri antichi eccetera, venite qua e li vendete”. Adesso abbiamo una regia portatile che ci permette di trasmettere ovunque. Il pubblico è contento perché vede qualcosa di diverso e io mi diverto molto perché giro in tutta Italia. E vendiamo tanto.
Quindi chiunque in Italia ti può chiamare per averti a casa a fare una trasmissione?
Certo! Ovviamente non posso muovermi per sei o sette quadri, deve esserci più roba. Quattro ore di diretta sono lunghe da riempire.

Rimango basito dal fatto che vanno nel panico quando mi vedono: “Ma è veramente lui!!!”, “Ma allora anche lei fa la spesa”
Cosa vendi di più oggi?
Partendo dal fatto che i clienti che mi chiamano si fidano di me e di quello che riesco a trovare loro, sto vendendo soprattutto cose antiche. Con il moderno e contemporaneo, che è il mio grande amore perché ci sono cresciuto, sto facendo fatica perché è difficile trovare cose vere, giuste, belle e a prezzi decenti. Invece con l’antico non sbagli mai, la storia vince sempre. Con l’antico lavoriamo molto anche se io non lo conosco ma mi affido a degli esperti in materia di dipinti del 700, dell’800. A questo proposito c’è stata una cosa divertente che è successa un anno fa circa… posso raccontartela, a prescindere dalle mie idee politiche? Non l’ho mai detta a nessuno finora…
Devi.
Un anno fa, dopo mezzanotte, ha chiamato uno che si è presentato dicendo: “Buonasera, sono Silvio Berlusconi e voglio quel quadro da 60.000 Euro”. Ovviamente il mio centralinista ha risposto “certo, e io sono Napoleone” prima di riattaccare. Ma quello richiama un secondo dopo dicendo “Guardi che sono veramente Silvio Berlusconi e voglio quel quadro a 60 mila”. Ancora non ci credevamo. Finché non ha chiamato la sua collaboratrice Marta Fascina (la sua attuale compagna, nda) e ha ribadito che “il Presidente vuole questo quadro”. Pur essendo increduli, abbiamo assegnato il quadro e ci è stato dato appuntamento pochi giorni dopo ad Arcore. Ta daann!. Mentre andavo alla villa di Arcore con il quadro e un mio collaboratore ancora pensavo a uno scherzo. Quando mi dicono “il Presidente la sta aspettando” inizio a pensare che sia vero. Vengo traghettato in una serie di salottini finché, in una grande sala, non arriva lui, con i suoi cagnolini e mi dice sorridente: “Orlando, finalmente ti conosco”. Non ci crederai ma mi ha riempito di complimenti, è stato quasi imbarazzante, “Sei il numero uno!” mi disse.
Beh, su Berlusconi si possono dire tante cose ma credo che su una siamo tutti d’accordo: la sua grande capacità comunicare e di riconoscere chi è in grado di farlo bene.
Mi ha colpito molto. Oltretutto ha speso in un anno un paio di milioni di euro da me, come se niente fosse, mi ha svuotato intere pareti.
Cos’ha comprato?
Per la maggior parte quadri di Madonne, Madonne con bambino, ma parliamo di centinaia di quadri. Lui poi voleva che io facessi assolutamente una trasmissione su una delle sue reti. Io, per farti capire, per trasmettere in tutta Italia spendo 30 mila euro al mese per le frequenze. Quando mi disse che mi voleva a Mediaset pensai “È fatta!”, avrei risparmiato un sacco di soldi. Fece anche tutto un progetto per trasformare Home Biz in un format ma alla fine non se ne fece nulla purtroppo…
Come immaginerai, non possiamo finire senza citare le tue performances leggendarie, come quella del tappeto Keyshon Figlio del Sole, quella in cui urli insulti a chi vuole un opera unica e ti professi un orgoglioso possessore di opere multiple… oppure quella volta in cui te la prendesti con chi voleva un olio, ribadendo che una serigrafia bella è molto meglio di olio brutto, che magari paghi 10 volte tanto…
Hahaha beh come immaginerai tutto nasceva dal fatto che di oli ne avevamo pochi mentre di serigrafie molte… era un controsenso, ma io ci credevo in quel momento, e volevo che ci credessero anche gli spettatori. Poi sai, io per anni ho dovuto vendere sempre le stesse cose: allora ho sviluppato un lessico, delle formule, che probabilmente sono entrate nell’immaginario collettivo. Ormai quelle cose in diretta non le faccio più, le faccio nella vita. Ma una cosa che voglio dirti è: non pensare che io fossi un improvvisatore. In diretta ero un mastino. Tenevo molto all’inquadratura e mi arrabbiamo moltissimo se non era come la volevo io. Guai. Come usciva il tappeto, come uscivo io, era tutta una performance che sembrava naturale ma che dirigevo io.
Alessandro, ora che la tua immagine pubblica sta attraversando una fase di rinascita, pensi che ti vedremo in contesti televisivi diversi da quelli abituali?
Potrebbe essere, l’importante è che non sia una pagliacciata, tipo fare la caricatura di me stesso in un varierà televisivo. Comunque tutto può essere, chissà.
Dopo esserci salutati ho contattato Enrico, un mio amico di Brescia che iniziò a lavorare come cameraman a Telemarket nel suo periodo aureo, dicendogli che avevo appena intervistato Orlando. Ecco ciò che mi ha detto: “Lui era veramente magnetico. Era uno che quando capivi che tu ci stavi dentro a seguirlo, creava una forte sinergia e iniziava a danzare dentro i tappeti: la sua energia traspariva anche dietro la camera. Era come ascoltare un pezzo prog, ti rapiva con la modulazione della voce, passava dai sussurri alle urla. Orlando dava l’idea di sapere il fatto suo, di essere uno che aveva superato, come me e te, tante interrogazioni a scuola senza manco aprire il libro”.