Dopo il maltempo che ha colpito la Romagna di recente, è stata una battuta di Iginio Massari, il più celebre tra i maestri pasticceri, a scatenare un altro tornado di proteste. Tutto è avvenuto sul set di Sweet Home, programma dedicato all’alta pasticceria, durante le riprese a Vigarano, in provincia di Ferrara. Durante una pausa, Massari ha espresso alcuni giudizi sui prodotti tipici locali. Il problema? Ha bocciato malamente un simbolo: il pampapato, un dolce di cacao e frutta secca che per Ferrara rappresenta tradizione, identità e appartenenza. Da qui l’indignazione dei cittadini, delusi e amareggiati. Le sue parole sono state, nel suo stile, drastiche, e di riflesso ha criticato anche tutta la pasticceria della città estense: «Il pampapato è una porcheria, dovreste rivederlo. Tradizione non significa restare fermi al passato. In città, tra i pasticceri, c’è poca curiosità». Su questo argomento abbiamo intervistato Edoardo Raspelli, giornalista e critico enogastronomico, famoso anche per aver inventato e depositato lo slogan delle tre T: terra, territorio, tradizione. Nelle sue parole: terra è il suolo che coltiviamo, che calpestiamo e che ogni tanto distruggiamo. Territorio è l'ambito geografico di quella data terra e le tradizioni, che per Paolo Pasolini che erano i dialetti, per Raspelli sono i piatti. E dopo una frase come quella di Massari, su un piatto della tradizione, non poteva che indignarsi: «Penso che se io mi fossi espresso in questi termini nei confronti del suo panettone che, per me, è stato un'enorme delusione, il signor Iginio Massari si sarebbe incavolato e mi avrebbe addirittura querelato».

Raspelli esordisce così, ma la sua accorata difesa del pampapato non si esaurisce brevemente: «Credo che a 82 anni compiuti il nostro Iginio Massari potrebbe pensare meglio a quello che dice, ma soprattutto non scimmiottare certi chef televisivi che hanno l'insulto facile, e che trattano con i pesci in faccia la gente». Ma può essere soltanto questione di gusti, se a parlare è una star della pasticceria? «Come ha detto al Resto del Carlino Igles Corelli, per carità del cielo, una cosa ti può anche non piacere, ma bisogna tenere conto che il panpepato è un antico dolce di successo non solo di Ferrara, ma anche di altre zone, tipo Terni. È un dolce che appartiene alla tradizione italiana e io, francamente, davanti a queste cose del passato, che appartengono alla storia della gastronomia, mi metto sull'attenti. Se vado a Ferrara cerco i pesci dell'Adriatico, cerco la salama da sugo e cerco anche il pampapato».

Ma davvero bisogna innovare sempre e comunque? «Bisogna rendersi conto che ci si trova di fronte a qualcosa che ha un'importanza storica. Criticare un dolce come il pampapato perché nessuno ci ha messo ancora dentro il tabacco, per dirne una, mi sembra assolutamente fuori posto». E l'innovazione, poi, che il progresso è un'altra cosa, porta benefici o semplicemente rovina la tradizione? «Ormai c'è questo modo esagerato di inventare, a tutti i costi, così poi ti capita di andare in certi ristoranti famosi e mangiare il dolce al cioccolato con dentro del pesce crudo di lago. Io ho partecipato alla prefazione del libro di Mauro Bassini: Non c'è più gusto, il tentato suicidio della cucina italiana. Bene, di fronte a queste cose mi viene da dire che il suicidio è compiuto».

