Queste Olimpiadi hanno rotto le palle, le ovaie, il terzo genere. Dateci dei giochi veramente inclusivi, altro che la Imane Khelif: apriteli a uomini, donne, trans, androgini, androidi e soprattutto ai dopati che così lo spettacolo aumenta, in linea con ciò che cerchiamo e cercano i nostri politici nullologi e gli influenzatori: ovvero l’esternazione, quella più grossa, unta ed esibizionista. E quindi stavolta gli atleti gareggeranno nudi, coi genita*i pompati in bella vista per tutti noi, per il popolo del “non ce lo dicono”: enormi clitori*i e pen* brandizzati dagli sponsor e nei colori delle bandiere. Saranno delle Olimpiadi di nuova generazione in cui vale tutto, reinventate da dei trumpidi americani degli anni Ottanta, ancora coi capelli e in diretta dal Colosseo, per poter invocare la morte dello sconfitto e coi leoni e gli F16 che sfidano i centometristi. Ma stavolta vietatele ai politici che ci stanno martoriando ciò che ancora riusciamo a ritrovare tra le gambe. La noiosa pomposità delle loro prevedibili retoriche sugli incontri ad armi pari che però se sei un giornalista va bene il tanti contro uno. Un teatrino invadente che in questi giorni li vede pedissequamente schierati con Angela Carini, se destraioli, se col pizzetto, se passivi aggressivi amanti dell’mma, se ultracinquantenni che non accettano l’autotune e quel raggrinzimento là sotto, rigorosamente coperto da casti mutandoni con la scritta Uomo se uomini e Donne se donne. A favore del pugile, della pugile o pugilessa nostrana pure J. K. Rowling, la creatrice di Harry Potter, con Elon Musk sempre più devoto al velinismo russo, in modalità anti-Hollywood, anti-Kamala Harris, anti-liberal, anti-woke. Dall’altra parte i molleggiati del progressismo, in queste ore già in India, a Capalbio o al Festival di Locarno con le immancabili sportine in tela, colme di libri Adelphi, ovviamente prima che venisse acquisita da Mondadori. Tra una pagina e l’altra si sono informati su cosa sia l’androgenismo e, essendo più bravi con Google, sono andati a ritroso fino all’incontro che la Imane Khelif perse contro una virago irlandese che nelle foto ha i muscoli ancora più tysonici: Kellie Harrigton. Inoltre, hanno imparato a scrivere giusto Caster Semenya, l’atleta sudafricana a cui la federazione impose di ridurre il valore del suo testosterone con uno specifico trattamento farmacologico: lei rifiutò e venne squalificata; la Imane no, che è il retroscena più scandaloso di questa vicenda etica indecifrabile e cavillosa, ma che di sicuro esula la politica e le semplificazioni in voga.
Per quanto riguarda il doping, diamo ancora più spazio ai nuotatori cinesi che però non hanno in sé il brutalismo di Hulk che diventa verde e non giallo. Sono troppo silenziosi e mesti: forse traumatizzati da quell’allenatore occidentale di cui parlano i giornali. Siccome da noi gli atleti sono tutti acqua di piscina e sapone, ogni volta che vede un asiatico uscire dagli spogliatoi gli urla: “Doping”. Non per fare becero razzismo, ma come steroidei si preferisce il ritorno dei bionici biondi prussiani della Ddr – Ex Germania dell’Est - i maschi e soprattutto le “uome”: nuotatrici chimicamente potenziate, armadi a quattro eliche che vincevano tutte le gare di nuoto e noi - isolati boomer di un’Italia ancora buzzancata e pelosa - al cospetto di quelle valchirie dai capezzoli rasati, potevamo ammettere il nostro lato femminile e poi ascoltarci l’inno più bello al mondo: l’unico che parlava di pace e uguaglianza, un testo che pareva scritto da Bob Marley che però non era biondo, ma omofobo: tutto e il contrario di tutto, in questa epoca di iper-post-verità-informazione. Da segnalare che ogni volta che ho scritto Imane, il correttore mi ha proposto Imene, perché si sa che dietro la tecnologia della Silicon Valley ci stanno gli Illuminati. A proposito di fi*a - se si può ancora dire - ieri l’algoritmo mi è venuto incontro, proprio mentre ero sempre più spossato dalla mancanza di un condizionatore e dal dover sguazzare nella mer*a di queste topic news di cui ormai sono dipendente: e mi ha immesso nei reel della atleta e Venere statunitense Chari Hawkins, che non conoscevo, una visione così brutale e bella che rirespiravo e risorridevo e dicevo la cosa più bella che non sento più dire: che bella fi*a!