L’aria dell’Us Open 2025 non è mai stata così densa, e non solo di elettricità sportiva. C’è chi sente profumo di fast food, chi di libertà, chi di marijuana. C’è chi si innamora, chi si rade a zero, chi va in pezzi davanti a un arbitro. È come se il torneo che chiude l’estate condensasse tutte le contraddizioni della città che lo ospita: rumore, caos, glamour, follia.
Il norvegese Casper Ruud non ha avuto dubbi: “Per me questa è la cosa peggiore di New York. L’odore è ovunque, persino qui sui campi. Dobbiamo accettarlo, ma non è il mio odore preferito”, ha detto ai media norvegesi, citato dal New York Post. Non era un’iperbole. Ruud ha insistito: “È piuttosto fastidioso giocare, essere stanco, e a pochi metri qualcuno fuma marijuana. Non possiamo farci nulla a meno che la legge non venga revocata, ma ne dubito fortemente”. Lo Stato di New York ha legalizzato l’uso ricreativo della cannabis nel 2021, ma il contrasto con l’idea di sport come purezza resta. Lo stesso tema era emerso nel 2023, quando Maria Sakkari aveva protestato con l’arbitro: “A volte si sente odore di cibo, a volte di sigarette, a volte di erba. È qualcosa che non possiamo controllare perché siamo in uno spazio aperto. C’è un parco dietro, la gente può fare quello che vuole”.

Mentre Ruud si tappa il naso, Jannik Sinner apre il cuore. Al Corriere della Sera confessa: “Mi sono appassionato moltissimo ai Lego. La sera, per esempio, costruisco con i Lego... Qui a New York so di avere un po’ più tempo e c’è un negozio molto vicino al mio hotel. Ci sono andato, ho comprato una Porsche. E l’ho finita in un giorno, in cinque ore. Allora ho pensato: me ne serve una più grande”. Non solo mattoncini: “Sì, sono innamorato, ma della vita privata non parliamo”. Sinner sembra spiazzare con la stessa naturalezza con cui anticipa il colpo avversario. Dice di non pensare al numero uno: “No, perché credo di essere sempre stato una persona umile e non mi piace dire ‘sono il numero uno al mondo’. Posso dire che sono un giocatore forte, però credo che si diventa numero uno non solo in campo ma anche fuori, per come gestisci le cose”. È l’immagine di un ragazzo che, mentre scala il ranking, non rinuncia a un’umiltà artigianale.
Poi c’è Carlos Alcaraz, che a New York si è presentato con un nuovo look. Non per scelta estetica, ma per un incidente domestico. “Sentivo che i capelli erano già molto lunghi, e prima del torneo volevo proprio tagliarli. All’improvviso mio fratello ha frainteso con la macchinetta. Ha tagliato. E l’unico modo per rimediare è stato rasarli. A dire il vero, non è poi così male, credo”, ha raccontato il numero 2 del mondo, citato dal Guardian. Non si è offeso, anzi: “Sinceramente sto solo ridendo della reazione della gente. È quello che è. Non posso farci niente adesso, quindi rido di tutto quello che dicono sul mio taglio di capelli”. Il più duro è stato Frances Tiafoe, che lo ha definito: “Orribile. Non so chi gli abbia detto di farlo, ma è terribile. Io che curo i tagli settimana dopo settimana, che ci tengo, posso dire che è orribile. Ma alla fine è Carlos è un amico. Però sì, deve venire da me”. Alcaraz ha replicato con una risata: “Frances sta mentendo. No, davvero? Ha detto che è terribile? So che sta mentendo. So che gli piace. Me lo ha detto”.

L’opposto della leggerezza in questo periodo è Daniil Medvedev, intrappolato in un gorgo psicologico. Contro Benjamin Bonzi ha perso la testa per un fotografo che si è mosso in campo. Ha gridato all’arbitro: “Vuoi solo andartene a casa!”, ha infiammato il pubblico, ha trasformato il Louis Armstrong Stadium in un’arena da calcio. Dopo quasi sette minuti di caos, ha perso partita e controllo. “Ho pensato di chiudere la carriera stasera, ora mi aspetto una bella multa. Non c’è nulla che vada bene in questo periodo”, ha confessato. L’ex campione degli Us Open sembra vicino al burnout, e perfino Boris Becker ha detto: “Medvedev è in pieno esaurimento nervoso, ha bisogno di aiuto professionale”.
Quattro storie, quattro teste. C’è chi si sente soffocato dalla libertà altrui, chi trova rifugio nel gioco, chi ride delle proprie disgrazie estetiche, chi implode nel conflitto con sé stesso. In mezzo, il torneo, le partite, i punti. Ma più ancora, l’impressione che a New York, quest’anno, l’Us Open non sia solo una gara di tennis. È un esperimento sociale, un termometro emotivo. E la domanda resta sospesa: a chi reggerà davvero la testa, prima che la racchetta?