Un tempo, quando i rom ne combinavano una delle loro, tipo rapinare la gente in metropolitana, intellettuali e guru meneghini (e non solo) se la prendevano col “Retequattrismo”, dicendo “E questi sarebbero i problemi di Milano? Andatevela a prendere con i palazzinari di destra, loro sì che rovinano Milano”.
Sarebbe interessante sapere cosa dicono oggi, oggi che i palazzinari sotto processo sono di sinistra e i rom minorenni sono passati direttamente ad ammazzare la gente. Ma si sa: in Italia le vie del benaltrismo sono infinite. A Milano ormai c’è un’emergenza al mese. Maranza, edilizia, rom, smog, buche nell’asfalto, movida selvaggia, e via dicendo. Eppure, non si risolve mai nulla: ci si limita ad aspettare che torni di moda un’emergenza del passato, così da smettere di parlare di quella attuale. Il ciclo dell’attenzione politica che coincide con quello dell’attenzione mediatica: ormai, dura meno di un post su Instagram. Il caso dei rom, poi, è emblematico. Non risolvere la questione conviene a tutti. Conveniva alla destra un tempo al governo della città, che così poteva alimentare il fuoco eterno della polemica securitaria: “Vedete? La città è fuori controllo, la sinistra coccola i delinquenti”. Conviene oggi alla sinistra, che può continuare a esibire il suo attuale marchio di fabbrica, la lussuria della pietà, quel piacere moralmente onanistico di sentirsi superiori ai “barbari” che chiedono ordine e regole. Tanto, al riparo nei nidi delle Ztl i problemi non sono che bubbolio lontano: La metro è pericolosa? E che problema c’è? Basta muoversi in bici.

A pensarci bene, è lo schema su tutto. Migranti? Stesso copione: la destra sbraita per tenerli fuori, la sinistra piange per farli entrare, e intanto nessuno li integra davvero. Avete mai sentito uno di sinistra preoccuparsi di come siano le loro esistenze una volta sbarcati?
Casa? Destra che promette incentivi ai costruttori, sinistra che li regala e in più aggiunge un paio di articoletti celebrativi sulla stampa amica.
Retorica contro controretorica, l’eterno ping-pong di cui si alimenta la politica attuale. Sostitutivo dell’azione concreta, resa impossibile dalla mancanza di fondi. E qui arriviamo a lui, Beppe Sala, noto ormai come il Sindaco Fiorechiaro, da via Fiori Chiari, quartiere Brera, zona di lusso, l’unica di cui probabilmente il Nostro ha conoscenza diretta, se è vero che poche settimane fa ha dichiarato che “Milano, negli ultimi anni, è diventata più attrattiva” restando serio.
Ex braccio destro di Letizia Moratti, poi diventato uomo-immagine della sinistra post-renziana in giacca e cravatta, la cui unica differenza con la destra sta nel colore del calzino (arcobaleno). La sua unica coerenza è estetica: slogan in inglese, hashtag inclusivi, piste ciclabili che dall’alto paiono tracciate da Pollock. Mentre le periferie marciscono, un gruppo denominato “Articolo 52” ha preso a fare le ronde come Gotham City, Milano diventa nel Paese sinonimo di insicurezza. La città è sempre più spaccata in due: da una parte gli appartamenti vuoti costruiti dai fondi a cui la città è stata svenduta, dall’altra i Poveri Cristi che arrancano. Con tanti saluti al ceto medio, una volta fiore all’occhiello della milanesità. Il “modello Milano” del Sindaco Fiorechiaro è sempre stato questo: forma senza sostanza. Fino a che classifiche a-la-carte sulla qualità della vita e giornalisti amici fornivano copertura mediatica, le cose andavano bene. Ma la diga s’è rotta da un pezzo, la verità è venuta a galla come uno stronzo all’alba nelle acque dell’Idroscalo, non esiste e non esisteva alcun modello, esiste una città dove il degrado è ormai endemico, lucido e organizzato, locomotiva di un Paese conciato nello stesso modo.

Puoi morire come un cane a Ferragosto, investita da un minorenne alla guida di un’auto rubata che vive in campi dove l’unica attività consentita dagli adulti ai ragazzi è rubare; ma nel giro di una settimana la Notizia sarà stata sostituita da un’altra “notizia”: un gay pride, un festival di street food, l’apertura di un rooftop panoramico. Il dolore dura quanto serve: poi si tornerà a parlare di brunch, biciclette e skyline.
Perché a Milano, e in Italia, a prescindere dal colore politico, non si governa: si amministra il flusso della propaganda, in attesa che la prossima tragedia sposti il discorso altrove.
