Ci sono foto che non raccontano, ma feriscono. Come quella che ritrae Giulia Tramontano sorridente, abbracciata a chi poi l’avrebbe uccisa con 37 coltellate. "Continuare a pubblicare la foto di una donna abbracciata al suo assassino non è informazione: è violenza", ha scritto Chiara, la sorella di Giulia, alla vigilia del processo d’appello ad Alessandro Impagnatiello. "È una mancanza di rispetto verso la vittima, la sua memoria, la sua dignità, perché ogni volta che quella foto appare, non raccontate la verità: la cancellate". Poi l’appello ai media: "Basta spettacolarizzare il dolore, basta umiliare chi non può più difendersi. Questo non è giornalismo. È complicità".

Oggi Impagnatiello torna in aula. In primo grado è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio aggravato di Giulia e del bambino che portava in grembo. Ora punta a una riduzione della pena. La sua avvocata, Giulia Geradini, sostiene che quella sera del 27 maggio 2023 non ci fu premeditazione: nessun agguato, solo “un susseguirsi di errori”. Ma per i giudici del primo grado l’omicidio era stato pianificato da mesi, almeno da quando, a dicembre, l’uomo aveva saputo della gravidanza.
Lo dimostrerebbero le ricerche online su veleni, l’acquisto di topicida, i tentativi di avvelenamento. Secondo lui voleva solo farle perdere il bambino. Secondo i magistrati, invece, voleva liberarsi di entrambi. Il movente? Giulia aveva scoperto la relazione parallela che Impagnatiello teneva nascosta, aveva parlato con l’altra donna, aveva fatto crollare "il castello di menzogne" costruito per tenere entrambe sotto scacco. All’improvviso, nel bar dove lavorava, si era trasformato in uno zimbello. Non poteva accettarlo. Così, scrivono i giudici, decise di chiudere la partita con la violenza.
Giulia non era sola. In grembo c’era Thiago. E secondo la sentenza, in quei secondi ha capito che stava morendo anche suo figlio. Una sofferenza estrema, “inutile e gratuita”, che giustifica l’aggravante della crudeltà.

Impagnatiello ha confessato solo quando non poteva più negare. Ora, per ottenere lo sconto di pena, chiede di essere ammesso alla giustizia riparativa. Dice di aver preso coscienza, di aver chiesto scusa alla famiglia di Giulia, di voler iniziare un percorso per aiutare gli altri. Ma la frattura con chi ha subito la violenza resta, insanabile. Nessuna giustizia riparativa può restituire una vita.
I pm non hanno fatto appello, e il sostituto procuratore generale Maria Pia Gualtieri dovrebbe chiedere la conferma dell’ergastolo. La sentenza è attesa nelle prossime ore. Intanto, fuori dall’aula, c’è ancora chi chiede solo una cosa: rispetto.
