Gigi Moncalvo è il massimo esperto di Fiat, e quindi di Elkann in Italia. Ha studiato a fondo le vicende della famiglia Agnelli, ci ha scritto molti libri. L'ultimo uscirà per Vallecchi-Firenze a fine ottobre e si intitolerà “The italian royal family”, la vera famiglia reale italiana. Così non potevamo che chiedere a lui del cambio di direzione al quotidiano Repubblica e dei personaggi coinvolti: John Elkann, Mario Orfeo e Maurizio Molinari. Ma essendoci di mezzo Elkann, la questione si è irrimediabilmente allargata: ci sono di mezzo Stellantis, il mercato dell'auto, i rapporti con il Governo e il Paese stesso. Perché se John Elkann è “freddo, distaccato”, in qualche modo “incompetente e disinteressato”, forse è vero che non vede l'ora di disfarsi del fardello Italia di cui “non gli frega niente”, mentre a Mirafiori si usano i soldi della previdenza sociale per “togliere le ragnatele dagli impianti”.
Moncalvo, perché il quotidiano la Repubblica ha cambiato direttore?
Il cambiamento è avvenuto perché John Elkann, il proprietario di Repubblica, si è sentito offeso e preso in giro proprio da Maurizio Molinari, l'uomo che lui stesso aveva scelto come direttore del giornale. Elkann non si è limitato a rimuoverlo dalla direzione del quotidiano, ma lo ha anche privato del ruolo di direttore editoriale, che comprendeva la supervisione dei giornali del gruppo Gedi. In quel momento, Gedi passava da tre giornali (Repubblica, La Stampa e Il Secolo XIX) a due, poiché Il Secolo XIX veniva venduto a Gianluigi Aponte, patron di MSC Crociere, per il quale il giornale genovese rivestiva un forte interesse. Nonostante il ridimensionamento, Elkann avrebbe potuto mantenere Molinari nel ruolo di direttore editoriale, anche solo per supervisionare i due giornali rimasti. Invece lo ha voluto punire due volte, accettando il diktat di Mario Orfeo, il nuovo direttore di Repubblica, che ha imposto di non avere alcun supervisore editoriale giornalistico sopra di lui.
Secondo lei, il cambiamento è dovuto solo allo sciopero o c'è dell'altro? Si parlava anche di disaccordi sulla politica estera.
Il vero problema è che Molinari, come tanti direttori, passava più tempo in televisione che in redazione. Era spesso ospite in trasmissioni televisive a qualsiasi ora del giorno, trascurando il lavoro al giornale. La punizione di Elkann sembra legata alla rabbia per lo sciopero di due giorni a Repubblica, che è coinciso con l'Italian Tech Week a Torino, un evento importante per Elkann, dove avrebbe dovuto celebrare la propria immagine davanti a Sam Altman, uno dei pionieri dell'intelligenza artificiale. Lo sciopero ha impedito l'uscita del quotidiano e, soprattutto, di un inserto di 100 pagine, che avrebbe dovuto essere la celebrazione di Elkann e del suo evento. Questa situazione, di fronte a un ospite internazionale, ha fatto sentire Elkann incapace di gestire il suo giornale. Le colpe di Molinari non sono gravi: non poteva evitare lo sciopero o fare concessioni ai giornalisti che sarebbero state comunque bocciate dalla proprietà.
Lo sciopero era giustificato secondo lei?
Sì, lo sciopero era giustificato. Era una risposta a una serie di mancanze di rispetto verso i giornalisti. Gestire un giornale significa dedicare tempo agli equilibri interni, ai rapporti con il sindacato e alla produzione del giornale. Molinari, invece, era troppo impegnato a dire quanto era bello e quanto era bravo nelle trasmissioni televisive, apparendo come un tuttologo, ma senza particolare efficacia. I giornalisti erano pronti con una soluzione alternativa: Mario Orfeo, il quale sapeva che i suoi giorni al Tg3 erano ormai contati.
Cosa ci può dire di Orfeo?
Orfeo è molto diverso da Molinari: meno parole e più sostanza, specialmente nei rapporti interni. Inoltre, Orfeo gode del supporto di Ezio Mauro, ex direttore de La Stampa e di Repubblica, che lo ha sostenuto nella sua carriera. Orfeo, quindi, rappresenta una scelta importante e probabilmente non ripeterà gli errori di Molinari. Poi l’ipotesi che Molinari sia stato fatto fuori perché voleva fare un giornale contro la Meloni, contro il Governo, e toccava gli interessi di Stellantis, sono solo delle balle e delle invenzioni, perché il giornale contro la Meloni lo faceva non di sua iniziativa, ma su richieste che arrivavano dall'alto.
Per volere dello stesso Elkann?
Certo, trovo falso che Molinari abbia preso quella linea editoriale di sua iniziativa. Inoltre, Elkann ha mascherato la rimozione di Molinari con le sue dimissioni da presidente di Gedi sostituendosi con Maurizio Scanavino, un suo vecchio compagno di studi già messo dallo stesso Elkann a dirigere la Juventus. Le dimissioni di Elkann potrebbero significare una maggiore facilità nel vendere il giornale come azionista, piuttosto che come presidente della società editrice. Nonostante le sue dichiarazioni alla Tech Week di Torino sull'importanza dei contenuti di Repubblica per alimentare l'intelligenza artificiale delle sue aziende, sembra esserci una contraddizione: se Elkann ha intenzione di vendere, come potrà continuare a fornire contenuti strategici per i suoi progetti futuri? Anche in passato Elkann ha mostrato contraddizioni, come quando ha venduto Magneti Marelli, un'azienda italiana con un enorme patrimonio di brevetti sull'auto elettrica, ai giapponesi, che a loro volta hanno trasferito il know-how ai cinesi.
Come si spiegano queste contraddizioni?
Perché non hanno le idee molto chiare. John Elkann ha l'ambizione di voler fare il "giornalista del 2024". Ama mostrarsi con le maniche di camicia e il microfono in mano, gli piace il protagonismo. Tuttavia, e questo non lo dico solo io, ma molti giornalisti importanti e anche chi lo conosce bene, è un uomo freddo, distaccato, e soprattutto sembra non conoscere il significato della parola gratitudine, come dimostra il trattamento riservato a Molinari. Non ha mostrato riconoscenza neanche verso una figura come Sergio Marchionne, colui che ha risollevato l'azienda e che ha consegnato a Elkann su un piatto d’oro lo scorporo tra Ferrari e FCA. Quella mossa ha generato guadagni stratosferici per Elkann, eppure non ha avuto nemmeno un minimo di riconoscenza nei confronti di Marchionne.
Com'era andata?
Quando Marchionne suggerì lo scorporo della Ferrari, sapendo come farlo in tempi rapidi, chiese in cambio delle azioni della Ferrari, per avere un ruolo più importante. Non lo fece solo per denaro, visto che i bonus non gli mancavano, ma Elkann rifiutò, facendo un discorso del tipo: "Lei è un mio dipendente, e come tale deve obbedirmi. Se le dessi delle azioni, da dipendente diventerebbe socio e potrebbe opporsi ai miei piani". Ora Elkann vuole usare l'intelligenza artificiale, vedremo se saprà sfruttarla per rilanciare la Ferrari in termini di vittorie nei Gran Premi e nello sviluppo di nuove tecnologie per i motori e l’aerodinamica. Vedremo se dimostrerà di essere bravo come ingegnere, non solo come ingegnere gestionale (com'è la sua laurea), ma come un vero ingegnere capace di risolvere problemi tecnici.
Ha ragione Dagospia a dire che, dopo la fusione Stellantis-Renault, a Elkann non conviene tenersi Repubblica e che in realtà vorrebbe mollare tutto?
È probabile. Elkann vorrebbe disfarsi soprattutto del settore automobilistico, e se lo farà tradirà in modo irriconoscente la memoria di suo nonno e del bisnonno, Giovanni Agnelli, fondatore della Fiat. Elkann non sembra avere lo stesso attaccamento alle tradizioni e ai trofei di famiglia. Ha venduto La Stampa qualche anno fa, per poi riacquistarla. Tra l'altro l'ha venduta a Carlo De Benedetti, uno dei maggiori avversari di suo padre. Ricordiamo anche cosa ha fatto alla Juventus: pochi mesi fa ha organizzato la celebrazione dei cento anni dell'ingresso della famiglia Agnelli nella società, ma quella che doveva essere una festa è sembrata più un funerale, visto che nessun Agnelli farà mai più parte dei vertici della Juventus. Non capisco perché Elkann, che si è autonominato successore di Gianni Agnelli, stia tradendo in questo modo la volontà del nonno.
Sì, poi, parlando della Juventus, i rapporti tesi con il governo non aiutano. Penso al caso di Ita Airways che doveva sponsorizzare la Juventus.
La realtà è che, dopo sei giornate di campionato e due turni di Champions League, la Juventus non ha ancora uno sponsor sulla maglia. Attualmente c'è uno sponsor "charity", Save the Children, che immagino non debba pagare nulla. È strano che un club come la Juventus, che sta riacquistando dimensioni internazionali e che è tornato nelle competizioni europee, non abbia ancora uno sponsor capace di coprire parte dei 199 milioni di disavanzo che ci sono anche nel bilancio di quest'anno.
E riguardo al settore auto? Mirafiori è ferma da mesi in cassa integrazione.
Mirafiori è ferma da anni. Da un mese è fermo un altro reparto, ma quanti sono i lavoratori coinvolti? Per anni, Mirafiori ha operato con una cassa integrazione a rotazione, facendo sì che gli operai lavorassero solo due mesi l'anno, senza produrre praticamente nulla. Non so nemmeno cosa gli facessero fare, probabilmente toglievano le ragnatele che si erano accumulate nei 10 mesi in cui gli impianti erano fermi. Per il resto del tempo percepivano l'indennità Inps di cassa integrazione. Ricordiamo anche che, durante il periodo del Covid, Mirafiori è stata trasformata in una fabbrica di mascherine con finanziamenti del governo Conte. Tuttavia, quelle mascherine erano scadenti, come ha dimostrato Striscia la Notizia con un'inchiesta: non solo non rispettavano le norme europee e non proteggevano dal contagio, ma erano scomode e inadatte per i bambini.
Chi aveva figli in età scolare quell'anno se le ricorda sicuramente.
Senz'altro, erano quelle che al posto dell'elastico avevano la cosiddetta giarrettiera. Tutti i bambini lamentavano il fatto che le mascherine gli tiravano le orecchie, tant'è che i genitori e le scuole le hanno rifiutate. Sarebbe interessante sapere se il governo ha chiesto i danni e dove sono state smaltite tutte le mascherine prodotte e poi respinte dalle scuole cui erano destinate. Si parla sempre di differenziata, di ambiente, ma quella faccenda è rimasta un mistero: di solito chi fornisce prodotti non conformi è poi costretto a ritirare a suo carico il reso e a smaltirlo.
Il giochetto della cassa a rotazione lo fanno molte aziende comunque, specialmente nell’indotto Fiat e automotive.
Sì, hanno rimodulato alcune linee per tenerli occupati. Il grande colpo di genio di Marchionne, poi portato avanti da John Elkann, è stato capire che se avessero licenziato gli operai e gli impiegati, avrebbero creato un caos sociale con scioperi e agitazioni. Invece di licenziarli, hanno scelto di non farli lavorare e di far pagare lo stipendio allo Stato con la cassa integrazione. È stato un modo perfetto per ridurre i costi e contemporaneamente incentivare le persone ad andarsene. Molti hanno persino ricevuto degli incentivi per licenziarsi. Allo stesso tempo, però, si prendono per il cu*o i cassintegrati, come dimostra il caso di Stellantis che poche settimane fa ha inviato una e-mail ai dipendenti, proponendo loro l'acquisto di tre modelli di Maserati, con prezzi che andavano dagli 85mila ai 158mila euro. Una presa per il cu*o bella e buona, un tentativo di piazzare gli invenduti perfino agli operai e ai loro conoscenti. Provassero a farlo con la Duna, non con la Maserati.
Anche perché un operaio i soldi per una Maserati li mette da parte in vent’anni.
Come se un operaio decidesse di comprare una Maserati piuttosto che affrontare le spese per il ritorno a scuola dei figli, il riscaldamento e tutto il resto. È davvero assurdo. Senza contare i danni che hanno causato all'indotto. Pensiamo solo alla chiusura degli stabilimenti Fiat e alla disoccupazione degli operai Fiat. Ma ci sono anche centinaia di piccole fabbriche con 100-200 operai che negli anni hanno prodotto componenti che spesso diamo per scontati, come il gommino del tergicristallo, il pomello di plastica del cambio, lo specchietto retrovisore. Quando Fiat ha trasferito le produzioni in Polonia, in Spagna o in Nord Africa, queste fabbriche in Piemonte, nel distretto torinese o nelle zone limitrofe, hanno chiuso o sono fallite. E nessuno li ha mai difesi, né i sindacati né il Governo. È una tripla beffa: prima l’e-mail per vendere le Maserati, poi qualche mese fa Stellantis ha invitato alcuni dei pochi imprenditori dell’indotto rimasti a trasferirsi in Tunisia o Marocco, dove potevano trovare manodopera a 100 dollari al mese o sfruttare agevolazioni fiscali. Quindi, da un lato chiedono soldi al governo italiano, dall’altro invitano i fornitori a spostarsi all’estero. Da un lato dicono che gli stabilimenti in Italia non chiuderanno, ma è chiaro che per lo sviluppo puntano sui Paesi francofoni e non di certo su Mirafiori o Pomigliano d’Arco.
E i numeri di questi giorni sono terribili. Pare che la produzione a Mirafiori sia tornata ai numeri degli anni '60.
Si sono accorti adesso che le auto elettriche non piacciono ai consumatori! Chiunque abbia cambiato auto negli ultimi 2-3 anni avrà notato quanto i rivenditori insistessero nel volerci rifilare una macchina elettrica, e la scelta più saggia da fare, come si vede dai numeri, è stata rifiutare l’offerta. Il peso e il costo eccessivo delle batterie, la loro breve durata di 2-3 anni, i costi elevatissimi, il motore che deve essere più potente per compensare il peso delle batterie. Tutte queste cose, la questione delle colonnine, e solo ora si accorgono che il consumatore non vuole l'auto elettrica? Bravi, davvero bravi.
Senza contare i prezzi fuori portafoglio delle auto elettriche.
Esatto, poi si meravigliano se arrivano auto elettriche cinesi che costano 10mila euro, contro i 30mila di un'auto europea. Ma stiamo scherzando? Parliamo di una Panda elettrica!
Anche potendosela permettere, chi la comprerebbe un Panda a un prezzo simile?
Sì, è improbabile, poi parlando di modelli c'è l'ultima city car della Fiat, quella che sembra una sorta di 600 Multipla, senza muso. Ma Elkann è più interessato al segmento del lusso. Ha acquistato a caro prezzo il marchio Louboutin, famoso per le scarpe con la suola rossa, e ha investito nella Philips. Punta molto sulla tecnologia medica, non gliene frega niente delle automobili. Non è cresciuto in Italia, non ha quella sensibilità. La dimostrazione è il recente evento a Torino, che doveva essere il trionfo pubblico di John Elkann: migliaia di persone erano presenti, ma sono tutti usciti incaz*zati perché non hanno capito nulla.
Come?
Nessuno ci ha capito un caz*o perché Elkann e il suo ospite, Sam Altman, hanno parlato solo in inglese senza neanche offrire un servizio di traduzione simultanea. Una cosa ridicola per un evento del genere. Un atto di superbia. Elkann avrà pensato: “Ma chi se ne frega se non capiscono, se non sanno l’inglese stiano a casa loro. Io mi rivolgo a un pubblico che ha almeno un master dopo l’università, che parla l’inglese come un madrelingua".
Una Tech Week senza nemmeno un traduttore simultaneo.
Esattamente. Ma almeno un sistema di monitor per seguire la traduzione in tempo reale, come si fa ormai anche nei teatri per seguire i testi delle opere liriche. Niente di tutto questo. Non essendo cresciuto in Italia, Elkann non ha idea di cosa significhino la Juventus, La Stampa e le altre istituzioni storiche, e tutto il suo parentado lo adora, tranne Margherita Agnelli e Andrea Agnelli. Lo adorano perché li ha salvati dal dover mettere mano al portafoglio per salvare la Fiat e ora tutti si godono i dividendi, grazie anche ai 6,3 miliardi ricevuti dallo Stato. Anche se poi dall’altra parte dovrebbe spiegare, se è così bravo, perché La stampa e Repubblica messe insieme vendono meno di 120 mila copie ogni giorno, in edicola, la stessa cifra di vendita del solo Corriere della Sera. Ora, che La Stampa arrivi a vendere 50mila copie, e Repubblica 70mila, mi sembra un risultato tremendamente negativo. Non mi vengano a dire che hanno milioni di abbonati all'edizione online perché questo non è vero.
Come i risultati negativi di Stellantis. Viene da chiedersi: disinteresse o incompetenza?
Credo sia incompetenza. Continuano a scegliere solo amici della loro parrocchietta. Guarda il consiglio di amministrazione di Stellantis: i francesi sono 7, mentre gli italiani sono solo 5, e con l’uscita di Andrea Agnelli, di fatto sono rimasti in uno solo, John Elkann. I francesi, invece, sono personaggi importanti. C’è Robert Peugeot, lui sì un vero continuatore della dinastia, che non ha intenzione di dismettere l’azienda di famiglia. C’è Saint-Exupéry, della famiglia del Piccolo Principe, poi c’è il rappresentante di Macron, perché il governo francese ha il 10% di Stellantis. Allora dimmi: chi ha comprato chi? Fiat ha comprato Stellantis o Stellantis si è presa la Fiat a basso prezzo? Macron punta a riunire Renault e Stellantis per creare un colosso automobilistico francese che possa competere con i veri concorrenti, come la Toyota. Il discorso di Macron non è sbagliato dal punto di vista francese, perché in questo momento di crisi dell'auto europea, con la Volkswagen che chiude addirittura gli stabilimenti e le auto italiane che non esistono più, è il momento per la Francia di riunificare la Renault, Stellantis, Citroen e Peugeot per creare un'industria francese fortissima che riesca a competere in Europa. Un'auto europea che sfidi i veri concorrenti stranieri, che non sono i cinesi ma i giapponesi di Toyota. Poi nessuno si è meravigliato, nel corso degli anni, se in un paese di grande tradizione come la Gran Bretagna ormai l'industria automobilistica britannica sia in mano agli indiani di Tata. Nessuno si scandalizza se marchi storici come Cooper, Bentley, Jaguar, Aston Martin e Range Rover siano nelle mani di un indiano che fa dei prodotti a buoni prezzi.
Un po’ l’effetto delle società calcistiche, in mano a cinesi e simili.
Non si sa nemmeno chi siano, ma va bene lo stesso. Ai cinesi e agli ultras, verrebbe da dire, ma sembra che vada bene anche quello.
Per chiudere, dove andrà a finire il mercato auto italiano?
Sta andando a finire al famoso Camposanto, che non è il campo largo. Sta andando in direzione di quei lunghi viali del cimitero, e ci sta andando perché ce lo hanno accompagnato. Da quanti anni non c'è un vero nuovo modello italiano: l'ultima automobile che hanno pensato è la Panda.