Brutte notizie dalla cucina: uno chef stellato, Paolo Cappuccio, cerca personale per un hotel di prossima apertura in Val di Fassa. Il problema non è il solito stipendio, questa volta buono, ma l'annuncio. Il cuoco stella Michelin lo pubblica su Facebook, ed è a dir poco restrittivo: “Sono esclusi: comunisti, fancazzisti, Master Chef del cazzo e affini, persone con problemi di alcool droga e orientamento sessuale. Quindi se eventualmente resta qualche soggetto più o meno normale…”. Il giudizio è inappellabile: pessimo, manca solo un “No zinghi” in stile Ruzza. Anche se in qualche modo è tutto coerente a un personaggio che, lo si vede scorrendo la sua pagina Facebook, ricondivide post di Giorgia Meloni e che fa endorsement ai candidati del centrodestra. Nel frattempo il post viene rimosso, e lo chef piagnucola che ha dovuto metterlo perché stufo di gente che brucia le padelle o si mette in mutua. Abbiamo chiesto un commento al critico gastronomico mascherato del Corriere, Valerio Massimo Visintin, che ci ha spiegato che, con buone probabilità, il problema è epocale: l'eccessiva mitizzazione dei cuochi e del mondo food in generale. La realtà dei fatti, come si vede, è ben più prosaica.

“Per la sua brutale inciviltà, il soggetto non merita che gli si dedichi il tempo di un giudizio personale. Tuttavia, da questo spiacevole episodio possiamo trarre considerazioni generali”. Questo l'attacco di Visintin. Non si può che concordare, al netto del fatto che certe sparate sui social ormai nascano con l'intento preciso di attirare l'attenzione. Il caso è sintomatico: “È l’ennesima dimostrazione che la fiaba della cucina come atto d’amore e consapevolezza culturale è un mito posticcio e ridicolo. Dietro le quinte degli stellati non ci sono né angeli né dei. Ma uomini e donne, come noi. Alcuni degni, altri meno”. Possiamo essere umani o disumani, e questo prescindere dalle stelle Michelin. “Dietro il fuoco fatuo delle classifiche e delle guide, oltre la cortina fumogena di certa retorica pretesca, c'è la stessa variegata sostanza che incontriamo ogni giorno per la strada: miserabili e galantuomini, baci e schiaffi, olio di gomito e calci nel sedere”. Un bagno di realtà, e non c'entra nemmeno la distinzione tra l'uomo e l'artista, a maggior ragione in un caso come questo dove la causa efficiente è del tutto professionale, la ricerca di personale: “Certo. Non è detto che un bravo artista sia un brav'uomo. Ma è improbabile che un cuoco, per quanto abile, sia un artista. Sarebbe già confortante che fosse una brava persona”. La polemica è chiusa. Se non affossata, visto che anche un ristorante dove aveva lavorato Cappuccio, La Casa degli Spiriti, ha deciso di smarcarsi pubblicamente dalle esternazioni dello chef. Ecco la risposta.

La risposta de La Casa degli Spiriti
Costermano sul Garda, 08/07/2025
La Casa degli Spiriti si dissocia nella maniera più assoluta dalle recenti dichiarazioni dello chef Paolo Cappuccio inerenti il post condiviso pubblicamente circa la ricerca di nuovi membri per la sua brigata in un albergo in Trentino. Giudichiamo, come Casa degli Spiriti, queste affermazioni discriminatorie e inaccettabili, diametralmente opposte dai valori della nostra realtà, sia ieri che oggi.
Ci teniamo altresì a precisare che chef Paolo Cappuccio ha lavorato come executive chef nella nostra realtà oltre un decennio fa. La sua opinione è da ritenersi del tutto autonoma, estranea alla nostra attività e contraria alla nostra etica.
La proprietà si dissocia da qualsiasi forma di discriminazione etnica, razziale, politica o sessuale. La Casa degli Spiriti, infatti, si fonda, fin dalla sua apertura 30 anni fa, su principi di inclusività, rispetto e accoglienza. Sempre validi sia nei confronti dello staff sia dei clienti. Crediamo nella libertà e nella dignità delle persone, senza alcuna distinzione.
La Casa degli Spiriti ha come principio fondamentale quello della tutela dei propri dipendenti, e nemmeno lontanamente avallerebbe pregiudizi per sesso, etnia, orientamento di genere o politico.
Aggiungiamo inoltre, in maniera personale, il nostro parere sull’importanza di usare spazi pubblici come i social con responsabilità. È con questa consapevolezza che desideriamo esprimere la massima solidarietà a tutte le persone che si sono sentite colpite da queste parole. Messaggi divisivi e offensivi non devono essere associati né alla nostra storia né alla nostra personale visione del lavoro e del mondo.
