Il programma di Antonino Monteleone si è rivelato un flop. E ora si cerca per lui una nuova sistemazione, dato il contratto pesante. È l’ultimo di una striscia di risultati non positivi per la Rai, oltre alle perdite importanti sia sul piano economico che simbolico. Abbiamo intervistato il critico televisivo Giorgio Simonelli per capire a che punto siamo. Ci ha parlato delle difficoltà nel replicare trasmissioni come Report o Dimartedì, di cui c’è grande affollamento. E il pubblico è ormai affezionato. “Per fare quel lavoro bisogna avere un fiuto eccezionale, serve riuscire a parlare di cose che davvero tengano duro, perché un'inchiesta che si fa questa settimana e che andrà in onda tra un mese rischia di essere già vecchia”, ha chiarito. E Fabio Fazio, invece, che ha portato Che tempo che fa sul Nove? “C’è davvero qualcuno che avrebbe scommesso su quei risultati? Io no. Il 10% di share è un miracolo”. Diverso il discorso per Amadeus, che non ha saputo rinnovarsi abbastanza, per ora. La destra, sembra suggerire Simonelli, non è in grado di tenere alto il livello, seppur gli intellettuali (di difficile comprensione) ci siano, tra cui Alessandro Giuli. “C'è una cosa che io non tollero: il vittimismo”. Inutile nascondersi dietro alla ghettizzazione della cultura di destra. Ora l’iniziativa per prodotti di qualità dev’essere la loro. Di quelle foto della fronte di Gennaro Sangiuliano rese pubbliche da Report, invece, c’è poco da discutere.
Giorgio Simonelli, come giudica la decisione di cancellare la trasmissione di Antonino Monteleone?
Il contesto di trasmissioni giornalistiche è molto affollato. La nuova direzione ha pensato che fosse necessario creare dei programmi simili a Report o Dimartedì ma che fossero alternativi. In realtà è difficile trovare delle cose nuove in quel tipo di prodotti, per cui si finisce per ripetere sempre le stesse cose, magari da un punto di vista diverso, ma sono sempre la stessa minestra, a volte anche riscaldata. Ormai il pubblico televisivo procede molto per abitudine, quindi ha dei punti di riferimento fissi: Paolo Del Debbio, Giovanni Floris o Sigfrido Ranucci a seconda degli orientamenti e delle simpatie. Introdurre delle novità è molto difficile. O si hanno veramente dei fuoriclasse, con delle idee assolutamente innovative, che possono radunare un pubblico nuovo, altrimenti si va a sbattere, come è successo.
Al tempo lei aveva scritto a proposito di Nunzia De Girolamo e dei costi del programma: anche in questo caso sono alti.
Sono trasmissioni che costano, anche perché i giornalisti arrivano con delle pretese. In più per fare quel lavoro bisogna avere un fiuto eccezionale, serve riuscire a parlare di cose che davvero tengano duro, perché un'inchiesta che si fa questa settimana e che andrà in onda tra un mese rischia di essere già vecchia. E allora occorre essere veramente bravi giornalisticamente per capire cosa nel tempo può durare, che cosa invece non vale la pena affrontare, oppure si finisce in un flop.
Tra l'altro il contratto di Monteleone non è stato rescisso, quindi dovrà essere in qualche modo ricollocato.
È lo stesso discorso degli allenatori di calcio: quando vengono licenziati prendono lo stipendio, per questo ci si pensa due volte. Sarebbe certamente uno spreco di denaro, ma non si può mandare in onda qualcosa che fa l'1,8% di share. C'è un senso del pudore che porta a prendere certe decisioni, altrimenti ci si espone al ridicolo e agli attacchi degli avversari. Se uno continua a tenere in vita un programma che non vede più nessuno diventa controproducente.
La Rai viene attaccata anche per un profilo istituzionale che molti vedono poco adeguato. L’ultimo caso è quello di Paolo Corsini che ha dato dell’infame a Corrado Formigli.
Questo è un po' nel temperamento culturale di questa destra, che ama il mito del parlare chiaro, dell'esporsi. Alla fine poi si dicono un sacco di sciocchezze. Viene fuori il nervosismo, l'insofferenza rispetto alle critiche, la convinzione di essere nel giusto. Poi c'è una cosa che io non tollero: il vittimismo.
Cioè?
L’idea che questa linea culturale sia sempre stata ghettizzata, perseguitata. C’è una narrazione secondo la quale la destra non faceva programmi e non produceva cultura a causa di un'egemonia che li imbrigliava. La verità è che quando gli hanno dato in mano carta, penna e calamaio quello che hanno prodotto non è stato di gran valore.
Ora al ministero della Cultura c’è Alessandro Giuli: lo considera un intellettuale?
Direi di sì, ma capita raramente che io lo capisca davvero. Usa un linguaggio che ha un certo tipo di radici, vorrebbe essere un po' futurista, legato al pensiero della destra filosofica, però il più delle volte mi sembra non si capisce bene cosa voglia dire. E forse non lo capisce nemmeno lui. Vediamo poi alla prova dei fatti, perché i politici, oltre che parlare, devono fare delle cose. Il problema, tornando alla televisione, sono gli ascolti che sono disastrosi. A volte si accetta un calo quando c’è un lavoro complesso e innovativo e allora ci vuole tempo. Se non ci sono né la qualità né i risultati diventa un problema. Non credo si possa dire che questi programmi siano di altissima qualità, al di là dello scarso pubblico.
Domenica è andato in onda Report e sono state rese pubbliche le foto del taglio sulla fronte di Gennaro Sangiuliano. C'è chi ha detto che mostrare quelle immagini è stato di cattivo gusto: lei come la vede?
Se la ferita è vera non vedo perché non se ne possa parlare. Poi Report ha fatto un risultato eccezionale, nonostante avesse tutto contro, perché c'era qualcuno che non voleva si parlasse di Giovanni Toti con le urne ancora aperte. E invece ha fatto record di ascolti. Da sempre quando si cerca di vietare una cosa alla fine si ottiene il risultato opposto. Come dicevo prima, il contesto televisivo e le caselle sono tutte occupate, c’è una fedeltà notevole per certe trasmissioni Rai.
Chi ha lasciato la sua casella libera è Fabio Fazio: pensa che si stia prendendo le sue rivincite in questa prima esperienza fuori dalla Rai?
C’è davvero qualcuno che avrebbe scommesso su quei risultati? Io no. Fazio ha un riferimento personale, c'è un pubblico che è legato alla compagnia, non trascurerei Luciana Littizzetto nella squadra, però ottimisticamente si pensava che il 5, 6 o 7% fosse già un grande successo. Ma il 10% è un miracolo. Lì c'è un grosso tema, che non è neanche tanto l'ascolto, quanto il prestigio. Fazio ha raccontato che quando è venuto ospite Bill Gates non erano stati loro a chiamarlo, ma Gates stesso che si era proposto. Credo sia una grande sconfitta per la Rai.
Per Amadeus il discorso come cambia?
Il pubblico segue Fazio perché sa che farà un certo tipo di cose, anche diverse dagli altri. Ma il pubblico non guarda un programma perché c’è Amadeus. Per dirla in sintesi: Fazio è ciò che è, Amadeus è ciò che fa. Se il programma di Amadeus non è interessante, o non è più interessante della concorrenza, non c'è motivo di seguirlo. Non mi aspetto un guizzo di novità da un conduttore come lui.
Questa cosa non era cambiata con Sanremo?
Lui era stato innovativo come direttore artistico, ma non dal punto di vista della conduzione. Il primo anno, per esempio, l'ha delegata a Fiorello e sembrava l'ospite. La gente guardava Sanremo perché Amadeus aveva cambiato alcuni meccanismi, questo bisogna riconoscerlo, ma non perché era lui a condurlo.
Tornando al Nove: come valuta il suo programma?
Non ha portato niente di nuovo, Chissà chi è mi sembra vecchissimo, tra l'altro è un po' tirato per le lunghe, perché ha poco ritmo. Quel gioco funzionava quando lo faceva Fabrizio Frizzi in 20 minuti, mentre in 40 è un brodo allungato. Quindi non c'era motivo per il pubblico di seguire Amadeus su un'altra rete dato che non aveva delle cose veramente interessanti da offrire.
In termini di pubblicità c'è tanta differenza tra avere anche un 5 e un 4% su una rete?
Sì, c'è molta differenza. C'è differenza rispetto alla media di rete e all'obiettivo prefissato. Gli spazi pubblicitari si vendono in base a dei target. Se poi questi non si raggiungono sono guai, il prossimo contratto rischia di non essere più a quei livelli.