“Con il suono delle dita, si combatte una battaglia” cantava Demetrio Stratos degli Area. Questo negli anni ‘70. Negli anni ‘20 del 2000 sembra, invece, che la battaglia si stia combattendo nelle cucine con il risultato finale delle ricette, che spesso non è importante se sia buono o meno, ma che se risulti almeno instagrammabile (Aldo Grasso docet). Così, dopo aver scoperchiato la polemica del mese sulle chiacchiere di Iginio Massari, vendute a 100 euro al chilo, abbiamo chiesto ad Alberto Grandi, professore associato di Storia del cibo all'Università di Parma - uno che di polemiche ne ha sollevate parecchie, anche se con studi alla mano - di fare il punto sui principali temi di cui si discute in ambito food. Grandi, da anni, smonta i miti della cucina italiana, rivelando che molte "ricette sacre" sono in realtà piuttosto recenti o non sono di origine italiana. Un esempio su tutti? La prima ricetta documentata della carbonara è del 1953 e arriva da Chicago. Quindi, perché scandalizzarsi se qualcuno mette la panna nella carbonara o l’ananas sulla pizza? La storia della cucina è un viaggio in continua evoluzione, e secondo lui le innovazioni non cancellano la tradizione: la arricchiscono. Ecco cosa ci ha spiegato su Massari, su Carlo Cracco che usa l’IA, Giorgio Locatelli che aveva paura di “morire” nel suo locale, Milano troppo cara, food influencer e insetti che finiscono nei menù.

Alberto Grandi, partiamo da Milano: ci sono chef che preferiscono abbandonare la città, come Felice Lo Basso, e chi restare. Il problema sono solo i costi e la troppa competizione o c’è una crisi del fine dining?
Secondo me a Milano, mediamente, i costi sono più alti, però è anche vero che i costi in realtà selezionano l'attività. Quindi potrebbe anche essere un elemento per determinare il target. Credo che sia più una scelta quella di chi abbandona, oppure semplicemente non riesce a stare a certi livelli, credo che sia questo. Da economista, più che da esperto di cucina, mi verrebbe da dare questa risposta.
Quindi ciò che riesce ad attirare è il marchio o la qualità?
Questo vale per l'alta ristorazione ma vale anche per tutto il resto, un piatto ci piace o non ci piace non per quello che è, ma per quello che sappiamo, o crediamo di sapere. Il marchio vale più della qualità.

Un esempio potrebbero essere le chiacchiere di Iginio Massari, che costano 100 euro al chilo?
Sì, siamo sempre lì. Alla fine il prezzo è il punto di equilibrio tra la domanda e l'offerta, quindi se c'è qualcuno che compra questi prodotti a prezzi così alti fa bene il venditore a metterli. E secondo me l'apparizione in televisione, l'essere ormai diventato un personaggio pubblico, ovviamente incide sulla percezione del consumatore molto più della qualità stessa, che ovviamente io non metto in discussione perché non è il mio mestiere. Io non sono un critico gastronomico.
A proposito di personaggi pubblici, i food influencer stanno spopolando, ma le loro ricette sono solo di estetica o sono anche buone?
Questa è una domanda difficilissima. Secondo me è un fenomeno che è esploso dopo il Covid. Di mestiere faccio lo storico, quindi faccio prima a parlare del passato che del futuro, però secondo me tra un po' di tempo questo fenomeno si sgonfierà e resteranno pochi, che magari saranno più competenti, più credibili. Secondo me adesso è palesemente una bolla, insomma.
Si parla sempre di più dei cibi del futuro: insetti e carne sintetica. Non dobbiamo allarmarci o sì?
Penso che questi ingredienti, questi cibi, progressivamente andranno a far parte della nostra quotidianità e quindi anche della nostra tradizione, perché fa vent'anni non ci ricorderemo più delle polemiche, mangeremo questi cibi e li considereremo tradizionali, esattamente come la carbocrema, fino a vent'anni fa la carbonara si faceva con l'uovo stracciato, adesso è assolutamente tradizionale. Alcuni dicono che fin dai tempi del Medioevo si fa così, in realtà non è vero, perdiamo la memoria delle cose.
Questo non mette a rischio la cucina tradizionale?
La cucina tradizionale di oggi, dieci anni fa non esisteva o era completamente diversa. Quindi, fra dieci anni, sarà diversa da quella di oggi e sarà diversa fra vent'anni. L'unica maniera per tenere viva la tradizione è cambiarla.

Quindi, secondo lei, facciamo male ad arrabbiarci con chi all'estero sbaglia le ricette italiane?
Assolutamente sì. Su questo sono laico, io continuo a pensare che non esista una cucina italiana in Italia più tradizionale della cucina italiana in Brasile o negli Stati Uniti o in Inghilterra. La cucina italiana, ovunque, se è tradizionale ha anche un elemento identitario, persino mettendo la panna nella carbonara o la cipolla nell’amatriciana.
Valerio Braschi ha realizzato un cioccolatino aglio, olio e peperoncino. Si tratta di esplorazione di nuove frontiere?
Sì, alla fine credo che sia il mercato a determinare, o meglio credo sia il gusto del consumatore a determinare il successo o l'insuccesso di queste innovazioni. In fin dei conti, come dice Oscar Wilde, la tradizione è un'innovazione che ha avuto successo.
A proposito di innovazioni. Un’intelligenza artificiale che riesce a ricreare ricette, come quella di Carlo Cracco, è positiva o negativa?
Anche lì, non c'è niente di male. Nel senso che alla fine utilizzare gli strumenti che lo sviluppo tecnologico e l'informatica ci mettono a disposizione non è in sé sbagliato. L'importante è che poi ci sia l'elemento umano, quantomeno dal punto di vista dell'invenzione, dal punto di vista dell'innesco, poi dopo ci sta tutto insomma.

E invece chef Giorgio Locatelli che chiude la Locanda a Londra e dice: “Stava per uccidermi. Ho girato la serratura e ho detto: grazie a Dio ti ho ucciso, non mi hai ucciso tu”. Davvero la cucina stellata è così stressante?
Secondo me un po' stressante lo è, però devo che non ho mai lavorato in una cucina stellata. Quindi, non so che livello di stress ci sia. Immagino che sia molto stressante e soprattutto che sia un mondo dove l'apparenza vale più della sostanza. Però questo vale per la cucina ma vale anche per qualunque altro settore economico credo, quindi non c'è niente di straordinario in questo.
Chef Igles Corell ha criticato Masterchef per via dell'immagine che dà del lavoro in cucina, con insulti, stress, velocità estreme e molta competizione. Ha delle ragioni?
Qui mi devo affidare alle testimonianze. Mio fratello ha fatto lo chef, adesso per motivi di salute è fermo, ma mi ha sempre parlato di un ambiente molto stressante. Non so se è così stressante come ci viene rappresentato in molti cooking show. In Masterchef effettivamente c'è un livello di competizione molto elevato. Io non credo che sia così, almeno spero per chi ci vive, quindi mi sento di dire come Corelli che ci sia qualcosa di eccessivo, di caricaturale per certi versi. Lo spettacolo in questo caso prevale sulla realtà.
In pratica Masterchef è più spettacolo che cucina?
Sì, credo che ci sia anche molta scrittura, molta invenzione. Sono racconti e storie che vengono raccontate, quindi anche inventate e riscritte.
