Il cancelliere tedesco Scholz ha fatto sorgere dei dubbi legittimi sul tema della tenuta dell’Occidente. Il motivo? Come sottolineato da Federico Rampini sul Corriere, una visita a Pechino che, diversi suoi connazionali hanno giudicato inopportuna, e che ha irritato tanti alleati: dalla Casa Bianca all’Eliseo. Tuttavia, il viaggio di Scholz fa il paio con l’omaggio che i potenti di Wall Street rendono indirettamente a Xi Jinping, attraverso la partecipazione a un importante forum finanziario a Hong Kong. La stessa Hong Kong che è stata teatro di una brutale repressione da parte del regime di Pechino, ma che dopo l’arrivo della pandemia è stata quasi del tutto dimenticata. Sicuramente non la dimenticano i duecento giovani di Hong Kong che sono ancora dietro le sbarre, e che rischiano seriamente di passarci la vita: condannati per aver difeso uno Stato di diritto, un’autonomia amministrativa, la libertà di stampa, la magistratura indipendente. Quando Xi Jinping ha preso la decisone di rilanciare Hong Kong, come porta d’accesso per i capitali occidentali, al raduno promozionale si sono presentati i top manager di BlackRock, Goldman Sachs, JPMorgan Chase, Morgan Stanley. Da Wall Street nessuno si sognerebbe mai di fare la morale al cancelliere tedesco. Ed è così che fan tutti. La visita di Scholz in Cina può essere interpretata in due modi. Va a confermare una pericolosa dipendenza: l’industria tedesca non riesce a fare a meno della Cina né come mercato di sbocco, né come fornitrice di minerali e componenti essenziali. Il rischio è quello del ripetersi in futuro di un film già visto nel caso della Russia. Non solo, il viaggio ufficiale del cancelliere è anche l’occasione di un acceso dibattito in Germania, con delle divergenze sulla politica cinese che spaccano in due perfino la Confindustria. Una visita che avviene quando rimbalzano nuove voci su un possibile allentamento della politica “zero Covid” da parte di Xi Jinping, voci che hanno scatenato un rialzo alla Borsa di Hong Kong, per la quale un ritorno alla normalità sarebbe davvero prezioso.
Tra gli elementi fatti notare da Rampini che la questione della fabbrica Foxconn a Zhengzhou, dov’è scattato un nuovo lockdown per via di alcuni positivi al Covid, è una lezione su cui tutti gli investitori stranieri sono costretti a meditare. La Foxconn di Zhengzhou è il principale stabilimento di assemblaggio dei nuovi iPhone per Apple, che ha scoperto quali prezzi può pagare per la sua dipendenza da un regime autoritario. La durezza del lockdown ha spinto qualche centinaio di operai della Foxconn alla fuga: immagini che hanno fatto il giro del mondo. Nel frattempo, Apple sta cominciando a spostare una parte della sua produzione dalla Cina verso l’India e il Vietnam. Dalla delegazione industriale che ha accompagnato Scholz mancano i capi di Mercedes Benz, Thyssenkrupp, Deutsche Post. Tre pezzi da novanta. È il risultato della spaccatura che si è aperta in seno alla Confindustria tedesca, tra un’ala che vorrebbe continuare a praticare “business as usual” con la Cina, e chi pensa che i rapporti con quel paese siano diventati sempre più rischiosi, e che andrebbero ridimensionati. Tra coloro che vorrebbero una politica più dura nei confronti della Cina ci sono molti industriali del settore macchine utensili, vittime di spionaggio industriale e di furti di proprietà intellettuale. Il linguaggio di Xi, durante l’ultimo congresso comunista era apertamente protezionista e autarchico, andando ad evocare lo spettro di una Cina trasformata in una fortezza economica, sempre più autosufficiente.
L’esempio chiave è la Volkswagen, che in Cina ha trenta fabbriche e novantamila dipendenti. Su tutte le vetture Volkswagen vendute nel mondo intero (Germania inclusa), una su tre viene venduta sul mercato cinese. È chiaro che disimpegnarsi dalla Cina appare alquanto autolesionista ai vertici della Volkswagen. Lo stesso discorso vale per il colosso chimico Basf, o la Siemens, o la Merck, i cui chief executive fanno parte della delegazione di Scholz. Però se lo sguardo si spinge verso il futuro, l’importanza della Cina è un’arma a doppio taglio. Oggi la dipendenza dell’industria tedesca dalla Cina per le terre rare supera quella che era la dipendenza dal gas russo. Visto che le terre rare sono essenziali per molte tecnologie verdi, in primis per le batterie delle auto elettriche, la futura Germania a “zero emissioni” che sognano gli ambientalisti potrebbe diventare schiava della Cina. All’ultimo salone dell’auto di Parigi si è notata l’avanzamento delle marche cinesi nelle auto elettriche. Questa è una delle tante ragioni per cui il partito dei Verdi a Berlino è severo verso Xi Jinping e ha criticato il viaggio di Scholz.