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Dinasty Benetton, dalle Autostrade ai libri (coi pisolini di Schumacher)? Alessandro spara su Atlantia, Mundys, Andy Warhol, il surf e Aeroporti di Roma. Ma sul Ponte Morandi mette la freccia e svicola?

  • di Jacopo Tona Jacopo Tona

  • Foto: Ansa

16 giugno 2025

Dinasty Benetton, dalle Autostrade ai libri (coi pisolini di Schumacher)? Alessandro spara su Atlantia, Mundys, Andy Warhol, il surf e Aeroporti di Roma. Ma sul Ponte Morandi mette la freccia e svicola?
«Maestà, il popolo non compra più i maglioni!». «Leggano dei libri». Per parafrasare il classico aneddoto su Maria Antonietta: con l’azienda dei maglioni sempre più in crisi, Alessandro Benetton si dà alla letteratura. “Mai fermi”, il suo secondo libro, si becca un’intervista promozionale sul Corriere, in cui il figlio di Luciano e presidente di Edizione parla di maestri, di guru e delle pennichelle di Michael Schumacher. Ovviamente, alla domanda sul Ponte Morandi svicola. Meglio parlare di surf, arte e architettura

Foto: Ansa

di Jacopo Tona Jacopo Tona

«Maestà, il popolo non compra più i maglioni!». «Leggano dei libri». Per parafrasare il classico aneddoto su Maria Antonietta: con l’azienda dei maglioni sempre più in crisi, Alessandro Benetton si dà alla letteratura. “Mai fermi”, il suo secondo libro, si becca un’intervista promozionale sul Corriere, in cui il figlio di Luciano e presidente di Edizione parla di maestri, di guru e delle pennichelle di Michael Schumacher. Ovviamente, alla domanda sul Ponte Morandi svicola. Meglio parlare di surf, arte e architettura. Fino al 2018, Alessandro si era allontanato dalle aziende di famiglia. Poi il crollo del ponte a Genova cambia tutto. La famiglia lo chiama, lui risponde, e si prende sulle spalle Edizione, cercando di mettere un punto fermo dopo la catastrofe e il dolore della famiglie, unico passaggio introduttivo sulla tragedia, che “non osa nemmeno immaginare”. Ma lo fa. E rilancia, scegliendo la via della discontinuità. A modo suo. Con “i maestri” nel cuore, come li chiama lui: otto figure che lo hanno guidato nella sua traiettoria: i figli in testa, Schumacher tra i primi. Già, Schumacher. Il genio tedesco che “dormiva 20 minuti con la tuta da corsa addosso e si svegliava lucido come se nulla fosse”. Per Benetton, è questa la metafora della leadership: fare una piccola siesta, svegliarsi già vestiti da lavoro e andare a vincere. Secondo Alessandro Benetton, Michael Schumacher non era solo un campione, era una macchina da guerra. Non per il numero di titoli, che pure non manca, ma per come li ha costruiti. Dietro la leggenda, c’era un metodo feroce, lucido, chirurgico. E oggi, a distanza di anni dalla sua ultima curva in pista, quel metodo risuona ancora come un manuale di leadership.

I Benetton in una foto d'epoca
I Benetton in una foto d'epoca

Consapevolezza, ossessione, strategia, visione. Quattro parole che su LinkedIn suonano come fuffa motivazionale, ma che nel caso di Schumacher erano il suo carburante. Non era uno che improvvisava: conosceva a memoria sé stesso, la pista, la macchina. Si fidava del suo istinto, certo, ma solo perché l’aveva costruito con chilometri di studio e di dati. Quando tutti restavano con le gomme da bagnato, lui passava alle slick. Gli altri vedevano un pazzo, lui sapeva che era il momento. L’audacia non era follia, era calcolo. Benetton prende questo modello e lo porta altrove: fuori dalla pista, dentro il capitalismo. Il suo scenario, lo dice lui stesso, è diverso. Non c’è il cronometro, non c’è la bandiera a scacchi, ma il metodo è lo stesso. Nel 2022, quando Edizione (la cassaforte dei Benetton) ha dovuto respingere l’Opa ostile del gruppo spagnolo Acs di Florentino Pérez su Atlantia, Benetton ha fatto esattamente come Schumacher: ha letto il contesto, ha capito dove accelerare e dove aspettare. Insieme a Blackstone ha blindato un asset strategico italiano, ha preso il controllo, lo ha sottratto ai riflettori della Borsa e ha cominciato a rifondarlo. Proprio come faceva Michael. Il risultato? Atlantia ha cambiato pelle, nome e identità. Ora si chiama Mundys, ha 23.000 dipendenti, e l’ambizione dichiarata di rivoluzionare la mobilità con tecnologia e infrastrutture all’avanguardia. Le lezioni di Schumacher, dice Benetton, le ha applicate tutte: ha capito i limiti del sistema, ha liberato le potenzialità nascoste, ha scelto quando colpire. Persino con Florentino Pérez, da “nemico” è passato a partner. Nel 2023, i due hanno riscritto gli accordi su Abertis per farne una piattaforma globale di investimenti autostradali. Porto Rico, Spagna, Cile: tre acquisizioni in pochi mesi. A ogni mossa il suo tempo. Sembra una frase da coach di Formula 1. Invece è globalizzazione.

Luciano Benetton
Luciano Benetton

Ma il vero punto di svolta non è a Wall Street, né nei paddock. È a casa, quando sua figlia Luce scopre un bozzo sulla gamba. Si teme il peggio. Lui non dorme, lei guarda La Casa di Carta. Alla fine non è nulla, ma quel panico gli rimette tutto in prospettiva. “Mi distraevano nel senso migliore del termine”, dice dei figli. Tradotto: la paura vera non la trovi nei consigli di amministrazione, ma nella fragilità che la vita ti sbatte in faccia all’improvviso. È lì che capisce cosa conta: l’apertura. “La capacità di recepire il mondo degli altri”, di accogliere il diverso, di fluire come l’acqua. Retorica a profusione, ma va bene. I modelli? Non solo Michael e papà Luciano, ma anche Amadeo Giannini, quello che dopo il terremoto di San Francisco dava soldi anche a chi non aveva garanzie, ma idee. E pure Andy Warhol. Sì, quello della zuppa Campbell. “Stimolava la creatività”, dice Alessandro: “Per costruire imprese, salvarle, farle crescere devi alimentare la contaminazione, il dialogo, l‘inclusività. La curiosità. Che imprenditore puoi essere se non sei curioso?”. Più che Warhol, sembra Steve Jobs, ma va bene comunque. Gestire un passaggio generazionale in una dinastia come quella dei Benetton è come la Formula 1: non uno sport per deboli di cuore. Dopo Morandi, sembrava che la famiglia si fosse sfaldata, gli chiede l'intervistatore, Daniele Manca. Ma Alessandro svicola totalmente il dramma del crollo genovese, spiegando che lui e i suoi cugini hanno fatto una cosa straordinaria, attraversando il ricambio generazionale. La svolta? Riconoscere che non basta ripetere i mantra dei padri fondatori, ma serve reimmaginarli. Un po’ come fece Tadao Ando, citato da Benetton, con l’architettura: rivoluzione nel rispetto delle fondamenta. Come a dire: quella tragedia, in fondo, non ci riguarda, noi siamo una nuova leva rispetto ai Benetton precedenti. Tant'è che, alla successiva domanda sul “Passato che pesa”, Alessandro continua a spostarsi avanti sulla linea del tempo: “Aeroporti di Roma, perla del nostro gruppo, ha aperto un Innovation hub con mille giovani che ragionano sul proprio futuro”. Nel mezzo di tutto questo, c’è anche Kelly Slater, leggenda del surf, incontrato grazie al figlio Tobias. Perché in fondo, nel mare della finanza italiana, bisogna saper stare in piedi anche sulle onde più alte e distruttive. Edizione dovrà dire la sua su Mediobanca e Banca Generali. Ma Benetton lo sa: “Non guardiamo a potere o influenza, ma a chi esprime progetti validi”. Amen.

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