Body suspension, trazioni o sospensioni, scarificazioni, piercing o tatuaggi sono azioni che consentono di sperimentare lo straordinario. Ma perché queste modificazioni corporee si stanno diffondendo nel mondo? Forse perché ci sono sempre più persone che insistono a rifiutare l’osceno quotidiano? Il disagio, l’inquietudine, la rabbia che monta dentro le vene e che storicamente si esprime nelle strade in proteste, sommosse e occupazioni, oggi sembra esplodere anche sui corpi. La pelle e la carne diventano il luogo concreto su cui tracciare future traiettorie dissidenti, come cicatrici che rappresentano risorse, potenzialità e contraddizioni, ponendo il dolore al centro della ricerca. Considerato il principale terreno di colonizzazione del controllo sociale e dell’omologazione, il corpo è per eccellenza il mezzo per trasformare i tabù in virtù, i divieti in occasioni, l’ordinario in straordinario, fino a superare il limite tra sogno e realtà. Dal comune desiderio di azione diretta sulle proprie membra emergono le storie qui raccontate. Body act, il libro scritto da Rote Zora (aka Elisa Fisforino) per Agenzia X è un viaggio collettivo verso la scoperta di mutazioni fisiche e mentali incarnate per accedere all’estremo ed esplorare il punto ultimo, quello più lontano e inimmaginabile. L’abbiamo intervistata.
Partiamo dal primo punto: cosa intendiamo con body modification?
Di una varietà di tecniche che puntano a modificare uno o più parti del corpo. Le body mod possono soddisfare fini estetici più comuni (lifting facciale o la chirurgia estetica) e meno comuni. Tra le forme più radicali di body mod possono essere portati a esempio lo splitting, l’eyeball tattoo, gli impianti. Alcune di queste sono irreversibili, come il tatuaggio della sclera dell’occhio. Altre invece sono reversibili, come lo split tongue o gli impianti sottocutanei. Queste ultime forme di body mod abbracciano canoni estetici non convenzionali e che generano un forte impatto sia su chi le compie sia sull’immagine che trasmettono agli altri. Si tratta di una comunicazione non verbale. Un palese “il corpo è mio e IO ci faccio quello che voglio”.
E ormai anche personaggi famosi li praticano.
Fedez ha i lobi dilatati ed è molto tatuato, ma queste sono decorazioni corporee ormai sdoganate anche dalle celebrities, che raramente generano il sospetto tipico dell’essere umano quando si trova di fronte a qualcosa di strano e perturbante..
Si viene ancora giudicati dall’aspetto?
Certo, inevitabilmente si viene giudicati. Nel libro ci sono testimonianze forti, come la storia di Alice, madre molto modificata a cui è stato detto “gente come voi dovrebbe venire sterilizzata.” Io stessa da professoressa vengo giudicata per il mio aspetto, perché un insegnante troppo tatuato non risponde allo stereotipo scolastico e viene subito associato al mondo della marginalità e della devianza, cosa che non corrisponde di certo a una verità assoluta. Anzi. L’educazione si trasmette soprattutto con l’esempio che diamo comportandoci in modo consapevole al ruolo che abbiamo, piuttosto che con il solo aspetto esteriore.
Come mai hai sentito la necessità di scriverlo?
Non vorrei risultare presuntuosa, ma sentivo la necessità di leggerlo. Nel panorama editoriale italiano mancava un testo del genere e secondo me era importante avere qualcosa di approfondito che andasse a scavare le radici di questa scena nata dal desiderio di voler comunicare qualcosa. Inoltre non potrei mai scrivere su un tema che non m’interessa, infatti in prima persona ho sperimentato e continuo a sperimentare su me stessa la body modification. Body act è un viaggio collettivo che prende forma dalle storie di persone che vivono il corpo come terreno di mutazione e autodeterminazione. Se penso alla Body Modification mi viene in mente Maila Nurmi, classe 1922, una delle prime donne popolari ad aver ristretto il punto vita…
In cosa consiste?
La pratica di restringimento della vita è molto affascinante. In Occidente è arrivata sia come adesione ai canoni estetici femminili (pensiamo ai corsetti del periodo vittoriano) sia come forma di opposizione agli stessi, per esempio molte donne scelsero di costringersi la vita per evitare gravidanze indesiderate. Non era però una pratica esclusivamente femminile, nel libro Angelo Pezzola descrive come in alcune tribù indigene questa faceva parte di riti di passaggio maschili. I giovani uomini indossavano grosse cinture che venivano strette sempre di più.
Com’è arrivata la body modification in Italia?
In Occidente arriva nel sistema dell’arte ad esempio quando l’artista francese Orlan decide di modificare chirurgicamente il suo volto per assomigliare alla “Venere di Milo” e ad altre figure emblema della bellezza occidentale. La chirurgia estetica diventava performance che culminava nella scelta di divenire mostro, facendosi installare sotto pelle, nelle tempie, delle zollette di silicone, a forma di corna. Era una esortazione a ribadire l’urlo femminista “il corpo è mio e lo uso anche per disgustare il tuo sguardo maschile e fallocentrico.” In Italia arriva alla fine degli anni ‘80, con un approccio molto fai da te, attraverso piercing o scarificazioni ed è spuntata fuori come funghi, in modo del tutto spontaneo, in risposta a un’esigenza di cambiamento contro l’osceno quotidiano. All’inizio ti costruivi da solo la macchina per i tatuaggi, ti arrangiavi. Si è creata una rete di persone, una comunità, legata da questa passione in comune. In anni dove non c’èra internet capivi che l’altro andava nella tua stessa direzione anche solo da un lobo dilatato. Ti incontravi a rave, concerti, tattoo convention e iniziavi a crescere insieme. Le mie ricerche guardano al passato per capire il presente e immaginare il futuro, mai con uno sguardo nostalgico.
Perché si arriva alla body modification?
Oggi credo che uno dei punti sia semplicemente quello di soddisfare un proprio desiderio estetico, in modo consapevole (è importantissimo andare solo da professionisti del settore) prendendo atto anche dei rischi comunicativi quotidiani: un eyeball tattoo altera il bianco dell’occhio e a livello sociale questo ha chiaramente un impatto. E poi c’è il tema del voler comunicare non solo agli altri, ma anche a se stessi. A volte non sappiamo nemmeno noi cosa stiamo comunicando, ma lo stiamo facendo. E’ insito nella nostra natura, noi ci differenziamo dagli animali per l’autodeterminazione che si manifesta nell’agire che diventa parola o corpo. Abbiamo sempre avuto questo bisogno di modificare il corpo e lo stato di coscienza anche attraverso pratiche corporali.
Intendi la body suspension?
Sì, ad esempio la body suspension con i ganci che vengono inseriti nella pelle per sospenderti (il tempo di sospensione poi dipende dalla zona che si è scelta per inserire i ganci e da altri fattori), ma anche semplicemente un play piercing, quindi con gli aghi inseriti per scopo decorativo come corsetti o puntaspilli. Pratiche che riguardano il corpo e che hanno una durata temporale limitata. Nel caso della body suspension devi superare il dolore iniziale della perforazione e abituarti a quella nuova sensazione che si prova quando i piedi iniziano a staccarsi da terra. È un’esperienza simile a un rituale, perché riguarda pratiche non ordinarie, che sconfinano nello straordinario.
Qual è la finalità ultima del tuo libro?
Di ricerca, di ricostruire una determinata scena. Le origini. E dare voce alle testimonianze dirette di persone che hanno agito sul corpo come azione concreta di rivendicazione. Persone che arrivano ad una maggiore consapevolezza di sé. “Body Act”: non si protesta solo nelle strade, ma anche attraverso il corpo. Vorrei davvero che lo leggessero i giovani, per aiutarli a capire cosa ci può essere dietro una ricerca del e sul corpo. E’ giusto che esca ora un libro del genere, perché la body modification è molto diffusa.
E i ragazzi sono aperti al tema?
Assolutamente: parlando di cambiamenti spontanei è proprio durante l’adolescenza che il corpo si modifica per i fatti suoi. Ovviamente si scontrano coi genitori, che spesso sono agli antipodi, però alla fine cedono e li portano negli studi di piercing e tatuaggi per assecondare le loro esigenze. I ragazzi sono molto curiosi in merito. Sono quelli più esposti al giudizio, questa è una generazione molto fragile, ma è quella più disposta a comunicare.