È da qualche anno, un paio per essere precisi, che con cadenza semestrale bussa al mio “uscio" social una misteriosa e quasi mitologica figura: quella del money slave.
Per chi non lo sapesse, di questo famigerato personaggio del web, tutti ne parlano e tutte vorrebbero averci a che fare, ma poche, pochissime, ammettono di essersi davvero lasciate avvicinare. Tutte tranne me, la Lara Croft “dell’avariata umanità” e femmina dotata di quella stessa malsana curiosità che, secondo certi detti popolari, “ammazza il gatto”.
Ma andiamo per ordine. Lo scopo ultimo dello schiavo digitale (e non) è uno soltanto: pagare. La definizione che ne dà Wikipedia è la seguente: “Money Slave o Findom è una pratica feticista rientrante nell'ambito della dominazione sessuale, in cui abitualmente un sottomesso maschio o una sottomessa donna fornisce doni e denaro a un dominatore o dominatrice”. Corretto, ma non correttissimo. L’universo dei “money slave”, infatti, può essere diviso in due macro categorie. I puristi, ovvero coloro che non vogliono far altro che acquistare oggetti per te o, semplicemente, farti avere i loro soldi, e quelli che si propongono anche come collaboratori domestici e tutto fare gratuiti - letteralmente delle cenerentole felicissime di vivere sotto la cenere del camino.
Giusto per non farmi mancare nulla, ho avuto incontri semi ravvicinati del terzo tipo con entrambi i bizzarri elementi: sia con l’uomo che paga, che con quello che paga e ti pulisce pure il water. E devo ammettere che preferisco il primo tipo, per un motivo molto preciso: non richiede nessun tipo di impegno e non vuole assolutamente nulla.
La prima interazione con questa strana ma interessante categoria umana è stata con Michele (nome di fantasia), il quale mi ha mandato un messaggio, educato, pulito, diretto: “Ciao mi chiamo Michele e vorrei essere il tuo bancomat. Può interessarti?”. Ammetto d’aver letto il messaggio quattro o cinque volte e di aver poi fatto due cose: verificato il suo profilo, appurando si trattasse di un account reale fatto di foto di aperitivi, del cane e di una miriade di immagini della fidanzata ufficiale, e chiamato il mio avvocato, come una Melania Trump qualunque, sottoponendogli la seguente domanda: “Ma se io do il mio IBAN a qualcuno è pericoloso? Vorrei provare a capire che cosa si prova ad avere un money slave”. Nonostante la perplessità iniziale e la chiara intenzione di non voler approfondire l’argomento, il mio legale mi ha rassicurata con un lapidario: “Ronchi se vuole può scrivere il suo IBAN al cesso dell’autogrill. Con il solo IBAN non le prelevano i soldi. Al massimo, non sussistendo una causa per il pagamento, glieli potranno chiedere indietro per dieci anni. Mi raccomando cifre piccole o depositiamo il tutto sul libretto postale della nonna. Il ragazzo potrebbe rivelarsi tra anni un moneyslave liberto”.
Tradotto per i non amanti di Forum: secondo il mio avvocato, dal momento che l’ordinamento non prevede, come ragione per la elargizione di denaro, la possibilità che ciò dipenda dal desiderio di soddisfare una fantasia sessuale, qualora l’uomo-bancomat ci dovesse ripensare, la sua volontà di liberarsi dalla propria condizione di zerbino sarebbe al contrario tutelata e gli potrebbe essere riconosciuto il diritto di chiedere indietro le somme regalate entro tot anni.
Appurato tutto ciò ho portato avanti la conversazione con lo slave, chiedendogli cosa si aspettasse da me in cambio: un atteggiamento da mistress, una certa durezza, cordiali chiacchiere?

“Nulla grazie. Non mi piace essere trattato male. Non ho tempo per chiacchierare. Voglio solo fare una prova di cinquanta euro e vedere come va”. A oggi non mi è chiaro in cosa dovesse consistere sta prova, mi sfugge come potesse andare bene o male il ricevere passivamente dei soldi, fatto sta che una volta avuto l’IBAN mi ha effettivamente fatto il bonifico, mandato lo screen dell’operazione, ringraziata carinamente, per poi sparire. Un bancomat veloce del quale sento ancora la mancanza.
Per chi se lo stesse chiedendo, coi suoi danari mi sono comprata un paio di libretti carini in Mondadori e un set di mutande nuove in saldo da Oviesse. Sono rosa e grigie con dei fiocchetti piuttosto sfiziosi.

Il secondo money slave, invece, si è proposto con una lunga mail di presentazione, il cui oggetto era il seguente: “Candidatura post lockdown”. Si è descritto come un giovane professionista del Foro, mettend tuttavia in mostra anche delle evidenti tendenze da colf ucraina e da autista di Parasite.
“Padrona pagherei per essere il suo schiavo e fare per lei tutte le più scomode mansioni. E visto il periodo di lockdown mi offrirei anche come bancomat e sottomesso a distanza. Sempre che lei gradisca. Le chiedo solo di sentirci telefonicamente.” Mi sono fatta dare il numero, l’ho chiamato in anonimo e ho assecondato la sua richiesta di fargli fare cose mentre parlava con me - “Ma con gentilezza padrona, non amo le mistress”.
La nostra Ronchi mentre aspetta impaziente il versamento sul suo conto Paypal
Quindi mentre mi raccontava della sua vita da giovane avvocato gli ho fatto lavare quattro volte i piatti e l’ho invitato, sempre con molto rispetto, a miagolare come un gatto. Alla fine della conversazione, ammetto un po’ stressante, opprimente e morbosa, ci siamo salutati e in tempo zero mi ha mandato 45 euro via PayPal, cinque Euro glieli ho lasciati di mancia. Scherzi a parte sospetto che fosse il massimo che aveva in quel momento sul conto e che più che un boss del diritto penale, fosse un idraulico di Cesano Boscone, ma questa è una mia impressione basata solo ed esclusivamente sul mio sesto senso femminile. Senso che dal 2007 funziona malissimo.
In ogni caso sono arrivata ad una conclusione: il money slave non fa per me. Da un lato creano aspettative che poi non attendono, dall’altro l’idea di dover educare un tizio a fare le fusa non mi eccita. Meglio optare per un comunissimo fidanzato con le mani bucate, di quelli che per dimostrare la loro virilità passano il tempo da Mediaworld, a comprare tv al plasma inversamente proporzionali ai loro attributi. E quando a casa loro finiscono lo spazio per gli schermi, state tranquille che un 102 pollici comparirà in qualche modo a casa vostra. Con o senza il vostro consenso.