Prima di trasferirmi in Toscana mio zio mi aveva avvertito: guarda che i toscani sono degli stronzi e tu devi essere più stronzo di loro. Aveva vissuto a Pisa quando era un ragazzino. Quella frase l'ho capita molti anni dopo. A Montecatini ci sono arrivato a 10 anni, di estate. In pineta uno con cui stavo giocando a pallone mi disse: torna da dove sei venuto, terrone. Ci andai addosso per picchiarlo, mio padre ci separò. All'uscita di quinta elementare mi presi a cazzotti con uno che mi aspettava in fondo alle scale. Il primo giorno di prima superiore, a uno che poi sarebbe diventato tra i miei migliori amici, il Lubrani, mollai uno schiaffo perché mi prese in giro. Non conoscevo nessuno nella nuova classe, ma avevo ben chiaro che non dovevo creare precedenti e farmi rispettare sin da subito. Perché i toscani sono stronzi. Però ieri sera ho festeggiato 44 anni. In una taverna del 1200. Con amici di una vita. Tutti toscani. Mangiando crostini al lampredotto spaziali, pappardelle al ragù di cinghiale e il cosiddetto tegamino del carcerato, con le frattaglie di carne al pepe, bevendo Chianti spettacolare. Insomma, ora sono toscano anche io, più di essere pugliese (dove sono nato), più di essere milanese (dove vivo), e ho capito che i toscani sono stronzi perché sentono il fatto di essere toscani, ovvero eredi di un pezzo di terra culla della civiltà rinascimentale, arguta e ribelle come loro, tant'è che i veri toscani non sono toscani ma ancora più territoriali, locali, rionali, e prima di entrare nelle loro grazie, nei loro circoli e quartieri, devi meritartelo, ne devi riconoscere gli stigmi, i simboli, i linguaggi.
Ecco perché tra toscani c'è un campanilismo portato all'eccesso, guardate al Palio, dove c'è gente che si offende separata da una strada, perché di qua dal marciapiede sei in una contrada e di là in un'altra. Ecco perché per i livornesi e i lucchesi e gli empolesi e gli aretini e tutti gli altri è meglio un morto in casa che un pisano all'uscio e i pisani rispondono: vai vai, speriamo. Ecco perché devi capire che se un toscano ti saluta dandoti del buo di ulo piuttosto che con la frase "come sta quel budello di tu ma'?" non è per cattiveria ma per affetto. Se capisci questo e lo interiorizzi la vita è in discesa: diventi meno permaloso, più ironico e auto ironico, più amante del confronto accesso, pure dello scontro, con offese che poi finiscono in abbracci, canti alla luna ed elogi alla passera. E se ste cose non le capisci lo fai a tuo rischio e pericolo perché un toscano le utilizzerà per pigliarti per il culo. Ad esempio, si intuisce perfettamente che Selvaggia Lucarelli non abbia mai avuto un compagno livornese, altrimenti se la prenderebbe molto meno con gli altri e conoscerebbe molto meglio il gusto della satira, della battuta e pure della dialettica. Voglio dire, se fosse stata con un livornese dopo una sonora litigata non le verrebbe in mente di bloccarti su wapp e sui social. Io, infatti, rispondo a tutti e non ho mai bloccato nessuno.
E poi senza stare a tirare fuori i Giotto, i Michelangelo, i Caravaggio, i Dante, i Medici e il budello di tu ma' (appunto), è godereccio sentirsi affini e comprendere quel che dicono e fanno non dico i Benigni (che è un genio assoluto), non dico i Montanelli (leggetelo, capre!) e nemmeno i Marcello Lippi (uno dei più grandi allenatori dal Dopoguerra a oggi), ma i Ceccherini (sempre briao, e però il migliore di tutti, anche perché da piccino tirava le pacche a Renzi), i Monni (se non lo conoscete mi dispiace per voi), i Bebo Storti (un grandissimo, se non lo conoscete idem come il Monni) ma anche il mio amico Max, falegname di Mercatale, stesso paese del Pacciani, che l'altro giorno l'ho presentato via telefono a Marta, la mia compagna milanese (che io chiamo Cinghiala, ma ogni tanto anche smandrappona o bella fia), e lui avrà ripetuto dieci volte Porco D** e altre dieci D** Porco e poi ce l'aveva con la su donna perché non solo donna ma pure giapponese e poi altri D** 'Ane e Cane di D**, però è un cinghialotto affettuoso come pochi che per te morirebbe. Una persona qualunque lo avrebbe trovato riprovevole. Una che sta con un toscano si è messa a ridere. In Toscana la gente è uno spettacolo più grezzo, più vivido. Io sono cresciuto incontrando Cané al bar, un pazzo che andava in mezzo alle donne sedute a un tavolo e diceva con corde vocali graffiate: e ora, vi voglio tutte a peora. E le donne lo sfanculavano senza farci troppo caso. O passando i pomeriggi con Nebbia, un vecchio sdentato che scendeva dalla montagna con un Ciao, senza casco e una paletta da vigile in tasca: "Nebbia, come stai?" gli chiedevo, è lui rispondeva: "Vai a prenderlo nel culo, finocchio". Essere diventato toscano mi ha aiutato a capire che molti problemi che gli altri reputano gravi sono in realtà relativi. Che tutto è recuperabile. Che la vita è una grappa al bancone, secca e amara, ma pure un Bolgheri profumato e meditativo. Che si può ridere di tutto, pure della morte, soprattutto della morte. Che non bisogna mai prendersi sul serio perché appena lo fai potrebbe arrivare Max a dirti: ma ti levi di ulo, mezza sega. Che la premessa e la conclusione di ogni discorso è che a te ti devono puppare la fava. Detto in sintesi ma detto meglio, se non sei toscano o non capisci i toscani c'è po'o da fare: vivi peggio. E se vivi male son cazzi tua.
Questo testo è stato pubblicato nella newsletter Bengala di Ray Banhoff dedicata ai Maledetti toscani, per iscrivervi cliccate qui.