Una seconda perizia psichiatrica, voluta dalla Corte d’Assise d’appello, ha ribadito quanto già stabilito in primo grado: Alessia Pifferi era pienamente capace di intendere e di volere quando ha lasciato morire di stenti sua figlia Diana, 18 mesi appena. Perché mentre la bambina agonizzava in un lettino con un biberon vuoto accanto, lei era a godersi un weekend con il compagno. E ora, a un anno da quel processo che si era chiuso con l’ergastolo, la nuova perizia sgombra ogni dubbio residuo. L’incarico era stato affidato a febbraio a tre esperti: lo psichiatra Giacomo Francesco Filippini, la professoressa di neuropsicologia dell’Università Bicocca Nadia Bolognini e lo specialista in neuropsichiatria infantile Stefano Benzoni. La domanda era chiara: Pifferi era affetta da una patologia psichiatrica in grado di compromettere il suo discernimento nei giorni tra il 2 e l’11 luglio 2022, quando per due volte lasciò da sola la figlia in casa? La risposta è no. “È affetta da un disturbo del neurosviluppo che comporta immaturità affettiva”, scrivono i periti, ma non abbastanza grave da interferire con la capacità di comprendere le conseguenze delle proprie azioni. Tradotto: sapeva perfettamente cosa stava facendo.

“Non ci sono alterazioni clinicamente significative della sfera cognitiva”, precisano. E dunque, come scrissero i giudici di primo grado, Diana è stata lasciata morire per permettere alla madre “di godersi un lungo fine settimana”. A dire il vero, una perizia firmata dallo psichiatra forense Elvezio Pirfo – tra i massimi esperti italiani – lo aveva già chiarito. Eppure, su istanza della difesa, i giudici d’appello hanno voluto ricominciare da capo. Risultato? Gli stessi. Pirfo, nella sua relazione, aveva scritto che Pifferi aveva “tutelato i suoi desideri di donna rispetto ai doveri di madre” e adottato “un’intelligenza di condotta”, dando versioni diverse a seconda dell’interlocutore. La nuova perizia sarà discussa in aula il 24 settembre. Presente, tra gli altri, anche la sostituta procuratrice generale Lucilla Tontodonati, che ha nominato due sue consulenti, Patrizia De Losa e Valentina Crespi. Per la difesa ci sarà l’avvocata Alessia Pontenani, per la parte civile – madre e sorella dell’imputata – l’avvocato Emanuele De Mitri. “C’è soddisfazione – ha commentato quest’ultimo – perché è stato riconosciuto ciò che abbiamo sempre sostenuto: Alessia Pifferi era perfettamente consapevole”. Ma questa storia potrebbe non essere finita. L’esito della perizia peserà anche sul “processo bis”, quello in cui sono imputati per falso e favoreggiamento la legale di Pifferi, il suo consulente e alcune psicologhe del carcere. Avrebbero alterato i risultati di un test WAIS per far sembrare l’imputata poco più che una bambina con un quoziente intellettivo di 40. Per Pirfo, quei test “non erano attendibili” e la scelta di somministrarli “inappropriata”.
