Fenice Srl, la società che fa capo al mondo aziendale di Chiara Ferragni, ci ha contattato dopo che MOW ha pubblicato il racconto di Marayah Osumanu - la donna trans di colore apparsa in The Ferragnez che sostiene di essere stata “usata per pubblicità” e poi licenziata - per farci pervenire una nota firmata da Image Building per conto proprio di Chiara Ferragni: "Smentiamo categoricamente l’intera ricostruzione e diffidiamo chiunque dal riprenderla strumentalmente". Non solo perché, secondo la nota, Ferragni fa sapere di aver già dato mandato ai propri legali per procedere nei confronti di Osumanu "per i reati di diffamazione e minacce e per i comportamenti illeciti palesemente posti in essere". Tradotto: la partita si sposta dal feed al tribunale.

Il racconto di Marayah - fra turni da receptionist trasformati in mansioni degradanti, clima ostile, messaggi ignorati e un licenziamento nel pieno della tempesta - ha riacceso i riflettori sul lato oscuro del personal branding? Ma la contro-versione è netta: per Ferragni e Fenice non c’è nulla di vero in quelle accuse. Resta un fatto: due narrazioni incompatibili. Da una parte la testimonianza di chi dice di essere stata prima vetrina e poi scarto; dall’altra una smentita senza sfumature e un’avanzata legale che promette carte bollate e, soprattutto, onere della prova. Nel mezzo, la solita domanda: dove finisce la storytelling economy e dove iniziano i diritti sul lavoro? Per ora, stop ai processi social perché a parlare, presto, potrebbero essere solo gli avvocati e giudici. Nel frattempo, noi di MOW continueremo a informarvi, a dare conto anche delle smentite (come quella di Ferragni) e a seguire gli sviluppi.
