“Il mio amico Andrea sono sicuro non c’entri nulla. State sbagliando tutto”. Queste le decise parole che Marco Poggi pronuncia al magistrato che lo interroga, segretamente, il 20 maggio di quest’anno a Dolo, in provincia di Venezia. Un’affermazione in realtà più volte ripetuta dal fratello di Chiara negli ultimi quindici anni. Una convinzione incrollabile, neanche scalfita dall’incapacità di Andrea Sempio di presentare un alibi credibile. Marco Poggi ci tiene che venga messo per iscritto di fidarsi ciecamente dell’amico storico. Si comunica addolorato per i sospetti che circolano, tanto da essere l’unico, a parte il procuratore, a concedere credibilità all’anonimo tagliandino di un parcheggio di Vigevano, che avrebbe dovuto testimoniare l’assenza di Sempio dal luogo dell’omicidio. Pochissimi i casi, nella storia della giurisprudenza, in cui si è visto dare tanta credibilità ad un alibi così inconsistente, tanto da eliminare dal ventaglio degli indagati uno dei personaggi più discussi. Molti professionisti impegnati allora a vario titolo nell’indagine, definirono la decisione della Procura un gentile omaggio. Alla luce delle novità attuali, l’ipotesi di corruzione del procuratore Mario Venditti, scopriamo in realtà che l’alibi concesso non era gratis ma anzi aveva un costo: almeno quarantamila euro. Sarebbe ora interessante sapere cosa pensa Marco del fatto che a quanto pare, i Sempio avrebbero fatto una maxi-colletta familiare per corrompere il Procuratore ed estromettere il suo amico dalle indagini sul feroce omicidio della sorella. E che in questo giro di soldi, ci sarebbero, a quanto riferiscono gli inquirenti ed il quotidiano Repubblica, anche 6.000 euro curiosamente versati, senza apparente motivo, dal papà di Andrea Sempio a colui che ispezionò e firmò le analisi sul luogo del delitto, ovvero il comandante Luciano Garofano, allora comandante dei RIS ed oggi star televisiva del crime. Purtroppo, non è possibile sapere direttamente le reazioni di Marco Poggi, in quanto la sua residenza è oggi secretata: c’è chi dice che viva all’estero, chi lo avvista ogni tanto in qualche stazione o aeroporto, chi dice che sia ricoverato in una lussuosa residenza sanitaria per problemi legati qualche forma di dipendenza, chi che lavori sotto falsa identità in un magazzino.

Eppure, si ha la perseverante sensazione che ne avrebbe di cose da dire e spiegare. Marco Poggi era spesso nella villetta di famiglia quando nonostante Chiara fosse al lavoro sul suo computer personale qualcuno ricercava siti sessuali non propriamente leciti. Era ufficialmente in Trentino con i genitori, quando il suo migliore amico, che pure avrebbe dovuto sapere della sua assenza, lo cercava invece insistentemente a casa sua a Garlasco. Potrebbe dirci se anche lui frequentava e perché, il santuario della Madonna della Bozzola; la presenza di Sempio in quel luogo sacro ma anche sito di incontri sessuali a pagamento, è testimoniato dal DNA trovato su di una bottiglietta d’acqua. E tanti, compresi gli inquirenti, sospettano e parlano di intrecci tra quel mercato del sesso ed il massacro di Chiara. Invece Marco, come i suoi genitori, si accontenta di un Alberto Stasi qualunque come colpevole dell’omicidio; di fronte all’evidenza degli errori, alle testimonianze di carabinieri infedeli, alle prove lampanti di inquinamento delle prove non chiedono giustizia, non mostrano rabbia per l’inganno, non chiedono di indagare a fondo ma anzi chiedono di fermarsi, accusano di speculare sul cadavere della figlia. In questa Italia che parla solo di Garlasco, loro sembrano i meno interessati all’inchiesta sulla morte di Chiara. Marco Poggi di persona non parla: silenzio allora e silenzio oggi; ne lacrime ne parole. Francesco Compagna, il suo avvocato, però continua a riportarci l’incrollabile fede nell’amico di sempre. Un vero e proprio patto di sangue. È più di un’amicizia, è fedeltà religiosa, come quella professata nel santuario, quando non si fa sesso a colpi di duecento euro. Ma Marco Poggi sta difendendo solo l’amico Andrea o anche sé stesso?

