È una donna da 7 milioni e passa di follower. Una delle alternative model più famose del pianeta e una delle influencer più credibili e ad alto tasso di conversione che abbiamo in Italia. Feticcio incontrastato di migliaia di uomini, genera crisi isteriche pure tra le più insospetttabili massaie nostrane. Riae, ovvero Ria Elisabeth Mac Carthy, ha accettatto di sottoporsi alle nostre insolenti domande, aprendo uno squarcio su chi si nasconda davvero dietro a una delle più contraddittorie e riservate webstar in circolazione. Dall'amore per gli animali al mondo del porno, in cui intraprendere una carriera non è poi un'ipotesi così remota. Ma non nel senso che pensate voi.
Riae. Cominciamo dalle cose semplici: come mai questo nome? "Sono metà italiana, metà irlandese. Mia madre partì dalla Sardegna per andare a imparare l’inglese e tornò con me. Ho vissuto in Irlanda fino ai due anni e il mio nome corretto è Ria Elisabeth. Ria è un nome gaelico dovrebbe significare 'venuta dalle acque'. Quando ho dovuto scegliere un nome per entrare in 'Suicide Girls' semplicemente li ho uniti – fantasia al potere". Dove sei cresciuta? "In Sardegna, tra Padru, Olbia e Arzachena". E che bambina eri da piccola? Vivacissima? Incontenbile? O te ne stavi sulle tue? "La parola che più mi descrive meglio è: 'stramba'. Non avevo gli interessi delle mie compagne di classe, ero perennemente isolata, mi sentivo lontana dagli altri. Una outsider insomma. Una condizione che mi ha accompagnata per anni, al punto che me lo sono anche tatuata, sul lato della mano". Però coi tuoi sempre andato tutto bene? Hai un buon rapporto con loro? "Direi che ho un buon rapporto coi miei. Ho due papà" Fino ai 4 anni sono stata con mia madre e con mio padre biologico. Poi il secondo marito di mia madre è diventato quello che io sento come il mio vero padre. Sono stati abbastanza permissivi, mi hanno lasciato diventare quello che volevo, cosa non proprio scontata". Ti immagino come un'adolescente turbolenta... "Al liceo, al contrario del periodo vissuto alle medie, alla fine avevo trovato in qualche modo una mia dimensione: ho frequentato l’artistico, quindi in mezzo a tutti quei creativi mi ero in qualche moda riuscita ad amalgamarmi, ma nonostante tutto, mi sentivo sempre fuori luogo, sempre fuori dal branco. Non mi pesava e non mi pesa tutt’ora".
Perché ti sentivi diversa dai tuoi compagni? "Ero più bassa, con le lentiggini e poi ero strampalata. Non mi importava nulla dei bei vestiti (e i miei genitori non mi hanno fatto mancare nulla, chiariamoci), dei capelli alla moda. Nulla. Facevo equitazione, ma non gareggiavo. Ho sempre sofferto d’ansia, al punto che non ho mai fatto una sola recita scolastica. L’idea del palcoscenico, dell’avere tutti gli occhi addosso mi angosciava". Ma come? Proprio tu che ora ti mostri così tanto. E ci stavi male? "In realtà non in modo eccessivamente drammatico: al massimo non andavo a scuola volentieri. Non ne soffrivo così tanto, il concetto di 'tutta la classe tranne me' non era un problema. Accettavo la cosa con un’alzata di spalle. Per questo fare le foto di nudo non è mai stato un problema: non avevo nulla e nessuno da perdere". È in quel periodo che hai cominciato a capire che desideravi mostrarti agli altri o che comunque per te questa cosa aveva un senso, ti dava un tornaconto, qualunque esso fosse? "No, al liceo non avevo grandi grilli per la testa, avevo una vita molto tranquilla: fidanzatino, equitazione, piccoli tatuaggi: il primo fatto a 14 anni, alla base della schiena. Me lo fece un compagno di classe pluri-ripetente. Tatuò praticamente tutta la scuola, facendo venire grandi infezioni praticamente a tutti. Me e fidanzato dell’epoca inclusi ovviamente". E come sei arrivata a posare? "Allora, prima di Suicide Girls non avevo mai posato in vita mia e a dirla tutta non mi interessava. Un giorno mio padre mi ha fatto vedere un articolo di giornale che parlava di alcune ragazze tatuate, coi capelli colorati, dicendomi: 'Guarda sono come te'. All'epoca, in effetti, avevo i rasta coloratissimi e mi ritrovai d’accordo con mio padre: mi somigliavano. Mi tenni l’articolo e provai ad entrare nelle Suicide Girsl qualche anno dopo". E con i tuoi come l’hai gestita? "A mio padre l'ho detto subito. Dopo un anno mi hanno intervistato su Current canale 130, un canale che, per motivi che non ho mai capito, mio padre seguiva sempre. Ho fatto di tutto per cercare di non fargliela vedere, visto che durante il servizio ero nuda su un divano, ma i miei sforzi sono stati completamente inutili e mio padre, alla fine, l'ha intercettata. Ormai per lui la cosa era fatta e accettò la cosa. Mia madre ci ha messo un po' di più". Quando è finito il liceo come è proseguita la tua vita? Hai cambiato città? "Sono andata a Londra per un po’, ero curiosa di vedere il mondo. Poi sono tornata a casa dove ho fatto la barista, motivo per cui se al bar non mi fanno un cappuccino come si deve mi arrabbio (ride, nda), e poi Berlino, dove appunto ho fatto il mio primo servizio fotografico, che ho usato per candidarmi come a Suicide Girls”.
Cosa volevi fare da grande quando eri piccola? "Il medico anatomopatologo. Volevo assistere alle autopsie. In realtà forse mi piacerebbe ancora". Mmmmm, che interessi curiosi. Cos'è una modella alternativa? "Semplicemente è una modella che non rispecchia i canoni dell’alta moda, un corpo diverso dalla classica donna alta, snella, taglia 38. Tutte possono farlo, è un po’ come il burlesque: non è una questione estetica, non sono un limite le tue misure o altro. È un’attitudine". Perché decidere di essere una modella alternativa? "Non è stata una vera e propria decisione, ho iniziato assolutamente per puro caso, per gioco. Non inizi (o meglio io non l’ho fatto) con chissà quali aspettative di carriera. Non immaginavo, insomma, di diventare una specie di Gigi Hadid delle modelle alternative". Quando il tuo lavoro da modella ha iniziato diventare una vera e propria carriera? "Col tempo. All’inizio è stato un percorso in salita, poi però hanno iniziato ad arrivare sempre più richieste di shooting, sono arrivate le prime copertine su testate legate al mondo del tattoo e le cose hanno seguito il loro corso". Qual è il confine tra ciò che fa una Suicide Girle e la pornografia? "Beh parte delle fotografie delle Sucide Girls sono soft porn. Quindi con la pornografia non c’è un confine netto, il confine netto c’è con il genere l’hardcore". E perché tu non hai mai fatto porno hardcore? "Perché l’idea di fare sesso davanti a una telecamera, onestamente, non mi mette per nulla a mio agio. Fare nudo non corrisponde a fare pornografia o a essere tenute o obbligate a farlo. Forse però potrei avvicinarmi a quel mondo con un altro ruolo: quello di regista per diciamo 'porno per donne'. A che ora ti svegli la mattina? Come si svolge una tua giornata tipo? "Dipende se ho o meno impegni di lavoro tra set fotografici, convention, relazioni con i fan. Ma anche quando sono tranquilla non amo alzarmi tardi. Mi sembra di perdere tempo, che è una cosa che odio".
Il tuo essere Riae è stato o è in qualche maniera limitante da un punto di vista amoroso? "Forse. Ma in realtà il problema non si è mai posto per davvero: chi non capisce la mia vita, il mio lavoro o le mie scelte semplicemente non può entrarne a far parte". Come deve essere un uomo o una donna per poter suscitare la tua attenzione? "Attiva. Assolutamente attiva. Deve essere una persona che mi stimoli a dare di più, a non affossarmi, a non fossilizzarmi. Che mi supporti senza essere soffocante e che mi lasci libera di portare avanti il mio lavoro e che non viva come un limite il mio essere una viaggiatrice (Riae ama molto viaggiare, lo testimonia anche la nascita del suo secondo account dedicato al travel, @mylifeinpixel, nda). E poi sembrerà banale ma io soffro della sindrome di Jessica Rabbit: una persona per stare con me deve farmi ridere". C'è mai stato qualcuno che ti ha detto: "scegli o me o quello che fai"? "No. E se anche fosse successo avrei scelto quello che faccio e non lui. Io non limiterei mai la libertà di qualcuno e non vedo perché dovrei tollerare o accettare che qualcuno possa farlo con me". Il lavoro che fai, la continua esposizione a proposte - anche e soprattutto di tipo sessuale - ha in qualche maniera cambiato l'opinione che tu hai degli uomini? "Ni. Certamente col mio lavoro non vedo il meglio degli uomini, anzi. Ma non voglio credere al 'sono tutti uguali'. Certo spesso sono deludenti ma non mi sono ancora chiusa a riccio, lascio la possibilità di stupirmi".
Possiamo dire che in te ci sia una componente di esibizionismo? "Certamente, altrimenti non farei il lavoro che faccio. Esibizionismo diviso da uno schermo però. Non uscirei mai di casa con l’intento di attirare l’attenzione, infatti è più facile che chi mi conosce mi veda in tuta e sneakers piuttosto che sui tacchi e vestita in modo provocante". Vista dall'esterno sembri così estrema che viene da domandarsi se esista ancora qualcosa in grado di accenderti, di turbarti. Cosa è in grado di eccitare Riae? "Il cervello di una persona, credo di essere assolutamente sapiosessuale!". Come credi che ti percepiscano, invece, le donne? "Credo che non mi vedano come un nemico, ovvero come una una rivale che gli ruberebbe il fidanzato. Mi ripetono sempre che nelle foto non mi vedono come una “mangia uomini” e in qualche modo credo si identifichino in me". Hate speech e body shaming, termini diventati noti anche al grande pubblico di recente: li hai mai subiti in prima persona? "Ogni giorno e per qualunque cosa. Per le persone sarai sempre troppo bassa, troppo alta, troppo magra, troppo tatuata, troppo poco tatuata. Quello che mi viene ripetuto spesso da chi mi sostiene è 'fregatene', ma fregarsene non serve, non basta. Possono attaccare me, che ci sono abituata, che ho le spalle larghe, ma se attaccano qualcuno di più fragile i danni possono essere irrimediabili. Ci vogliono campagne di sensibilizzazione. Le persone devono smetterla di pensare che quello che dicono o fanno possa non avere nessuna ripercussione. Bisogna bloccare questo meccanismo". Rammarichi per la scelta fatta? Qualcosa che faresti diversamente, se avessi Doc Brown e una DeLorean a disposizione? "Assolutamente nulla. Le scelte che ho fatto mi hanno portata ad essere quello che sono adesso e quello che sono adesso mi piace, mi sta bene. Del mio passato non nego nulla". Cosa vuole fare Riae da grande? "Quando vedrò sul mio conto una cifra sufficiente, sogno di trasferirmi a Bali e aprire una clinica per salvare animali abbandonati, curarli e poi reimetterli nel loro territorio".