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Think twice

Ma ha davvero senso dire “E Ratzenberger?” ogni volta che si parla di Senna?

Giulia Toninelli

2 novembre 2020

Tornando a Imola con la F1 nei cuori di tutti è riaffiorata la malinconia del weekend nero della storia del motorsport. Ma ad ogni post dedicato a Senna c’è un commento sulla mancanza del ricordo di Ratzenberger, morto in pista nello stesso fine settimana. In un clima di generale bigottismo che serve a un gran poco

di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

"Eh ma Ratzenberger non lo ricordate?"

"Ci sono morti di serie A e di serie B?" 

"Perché Senna ha una statua e Ratzenberger no?"

La Formula 1 questo fine settimana ha fatto tappa a Imola, circuito assente dal calendario da 14 anni, e le curve indimenticabili del Gran Premio dell'Emilia Romagna hanno portato alla luce la malinconia del weekend nero della storia del motorsport. Tante commemorazioni, tanti ricordi, tanti tributi. Dal casco con i colori di Ayrton Senna indossato da Pierre Gasly al diamantino incastonato sul trofeo all'altezza della curva del Tamburello, dove perse la vita il campione brasiliano. 

In questo clima di malinconia, a stonare sotto ogni post pubblicato e ogni ricordo di qualsiasi genere il commento di tifosi inferociti all'urlo di "Ma Roland Ratzenberger non lo ricordate?". Perché in quello che, proprio per questo motivo, viene ricordato come "il fine settimana nero" a Imola non perse la vita solo Senna ma anche il Milite Ignoto della F1, un austriaco approdato Simtek solo due gare prima del terribile incidente. 

Ma la verità è che nessuno dimentica Ratzenberger, la sua tragica morte è vivissima nella memoria di tutti gli appassionati ma è altrettanto vero che - per il panorama del motorsport - la morte di Senna ha significato molto di più. 

Questo fa di Ratzenberger un morto "di serie B"? No, ma per la Formula 1 sì. 

Ed è inutile fare del buonismo, commentando acidamente questa mancanza ad ogni post pubblicato sui social, perché cercare la differenza tra come viene commemorato un morto e un altro non serve a nessuno. 

Gasly si ferma al Tamburello per rendere omaggio al suo mito. Commento: "perché non si è fermato anche dove è morto Roland?". Risposta? In realtà si è fermato, anche lì, ma le fotografie non hanno fatto il giro del mondo. 

Mercedes pubblica un post con il memoriale di Ratzenberger. Commento: "Senna ha una statua mentre Roland solo un cartellone". Risposta? Quanti piloti di Formula 1 morti in pista hanno una statua? E quanti non ce l'hanno? Perché solo con lui tutto questo accanimento? 

Gasly indossa il casco con i colori di Senna per il weekend di Imola. Commento: "Ma nessuno ha pensato di fare la stessa cosa con quello di Ratzenberger?". Risposta? Ma siete seri? Ma qualcuno di voi ricorda alla perfezione i colori del casco di un ragazzo arrivato in Formula 1 da due gare? 

E potremmo andare avanti così per ore. 

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Ricordare la morte di Roland è giusto, perché la sua vita non valeva certo meno di quella del brasiliano più famoso del mondo, ma mettere sullo stesso piatto l'impatto mediatico della morte del Dio della Formula 1 e di un ragazzo sconosciuto ai più non ha senso.

E non è giusto, per chi vorrebbe solo rendere omaggio al proprio mito e ha bisogno di pareggiare i conti, dando quello che ha l'aspetto di un contentino per non fare incazzare nessuno. E non è giusto per la memoria di Roland stesso, che sembra essere usato come moneta di scambio per fare i conti con il proprio bigottismo. Chi vuole ricordare Ratzenberger lo ricorderà, nei propri cuori o con gli omaggi che riterrà opportuno fare. Esattamente come con Senna. 

Seguendo lo stesso criterio ogni anno nel weekend del Gran Premio d'Italia, a Monza, dovremmo ricordare con monumenti e omaggi Jochen Rindt,  Wolfgang von Trips e Ronnie Peterson.

Ma non lo facciamo. E questo non li rende morti di Serie B. 

Come l'incidente di Lauda del 1976 non è più importante di quello di Berger dell'1989 o di Jos Verstappen del 1994. Ma lo ricordiamo di più, lo celebriamo di più, ci abbiamo fatto film e documentari. 

Perché la Formula 1 gioca con la spettacolarità della paura, del pericolo, della morte. E su questa consapevolezza basa il ricordo di chi per il motorsport ha dato tutto, restituendo in emozione quello che aveva donato. 

Non ci sono morti di Serie A o di Serie B, ma non aspettatevi che tutti siano ricordati nello stesso modo, perché l'impatto nei cuori delle persone non può essere uguale. O misurabile. O stimabile con la grandezza di una statua. 

E tantomeno con il numero di commenti sotto a un post. 

 

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Tag

  • Ayrton Senna
  • Formula 1
  • Imola

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